Archivio film Cinema News — 30 Dicembre 2016

Titolo: Aquarius
Genere: Drammatico
Regia: Kleber Mendonça Filho
Sceneggiatura: Kleber Mendonça Filho
Fotografia: Pedro Sotero & Fabricio Tadeu
Cast: Sonia Braga, Maeve Jinkings, Irandhir Santos, Humberto Carrão, Zoraide Coleto, Fernando Teixeira, Buda Lira, Paula De Renor.
Produzione: Émilie Lesclaux, Saïd Ben Saïd, Michel Merkt
Nazionalità: Brasile, Francia
Anno: 2016
Durata: 140 minuti

Circa tre anni dopo il cileno “Gloria” di Sebastián Lelio, esce nelle sale italiane un altro film latinoamericano incentrato su una donna forte e decisa, emblema più o meno diretto d’una parte della società contemporanea: il brasiliano “Aquarius” di Kleber Mendonça Filho, presentato in concorso al 69° festival di Cannes.

L’opera vede come protagonista Clara, un critico musicale in pensione che vive da sola in un bell’appartamento vicino alla spiaggia. Tutto scorrerebbe piuttosto tranquillo nella sua vita, se non fosse che la casa in cui abita è situata in un condominio vuoto i cui interni sono stati tutti acquistati da una ditta di costruzioni, che sta cercando con ogni mezzo di convincere Clara a vendergli la residenza. Ma per motivi familiari, la donna è assolutamente legata alla propria dimora e non ha dunque alcuna intenzione di cederla.

Proprio come “Gloria”, il film in questione si appoggia in gran parte all’ottima performance della sua carismatica attrice protagonista (in tal caso l’icona del cinema brasiliano Sonia Braga) e si svolge con un andamento narrativo piano, completamente impegnato a seguire la quotidianità del personaggio principale, dagli incontri con i familiari alle serate con le amiche, dalle pause in spiaggia fino agli scontri con la ditta edile.

Ma mentre il titolo cileno lasciava il contesto sociale sullo sfondo per concentrarsi maggiormente sul ritratto intimo di un singolo individuo, “Aquarius” pone il contenuto politico in modo più esplicito e diretto. Infatti, Clara rappresenta soprattutto quella borghesia brasiliana sensibile e progressista, decisa a difendere i suoi principi e il proprio patrimonio culturale dal capitalismo più selvaggio, rampante e corrotto, qui incarnato dall’impresa di costruzioni e dal suo giovane dirigente.
Una parabola sul Brasile contemporaneo che rimanda alla più stretta attualità del Paese (impossibile non pensare alla vicenda Rousseff e al nuovo governo di centrodestra), che emerge non solo tramite il racconto e i suoi personaggi, ma anche dall’uso simbolico ma non ridondante delle ambientazioni: se l’appartamento di Clara può simboleggiare la cultura difesa dalla donna, i grattaceli che circondano la città (spesso ripresi in campo lungo) rappresentano indubbiamente la foga edilizia di uno spietato e indifferente sistema economico.

Un messaggio politico assolutamente chiaro che viene però costantemente intrecciato alla vita privata di Clara, la cui minuziosa descrizione serve a comprendere meglio il suo carattere e, quindi, i motivi più intimi e profondi del suo agire.
L’opera riesce così a unire con equilibrio ed efficacia il pubblico con il privato, il politico con l’intimo, grazie sia a una sceneggiatura che sa alternare in modo scorrevole i due piani sia a una regia tanto “innamorata” della sua protagonista quanto attenta al contesto in cui vive.

Il film pecca piuttosto nella lunghezza: due ore e venti non sempre necessarie all’economia semantica-narrativa e che, anzi, rendono il risultato a tratti un po’ prolisso, causa soprattutto delle occasionali sequenze oniriche e di alcuni momenti di stanca, che allungano senza un motivo veramente valido la durata di un’opera che, comunque, risulta complessivamente valida.

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