Il 5 novembre uscirà la terza e ultima stagione di Dickinson sulla piattaforma Apple TV+. Per chi non avesse visto le prime due, questo è il momento giusto per recuperarle.
Da come si evince dal titolo, questa bizzarra serie narra le estasi e i tormenti di Emily Dickinson, uno dei nomi più importanti della poesia americana. Ma l’effetto che sortisce, soprattutto su chi conosce e ama la poeta, può essere imprevedibile. C’è chi potrebbe risultare infastidito dalla chiave interpretativa proposta, chi molto divertito.
La giovane Emily non corrisponde allo stereotipo della scrittrice reclusa e misantropa del nostro immaginario collettivo. Ironica, irriverente e amante della vita sociale, potrebbe benissimo essere una ragazza dei giorni nostri. La storia è ambientata a Amherst (Massachusetts), paese natale, che la poeta non lasciò mai, tranne per rari viaggi.
La serie però non manca di esplorare il suo animo profondo e sensibile e soprattutto quella decadente fascinazione verso l’oscurità che la porta a flirtare pericolosamente con la Morte (incarnata dal rapper Wiz Khalifa) durante i suoi stati alterati di coscienza.
Nella narrazione è centrale il suo rapporto con la cognata Sue, ormai riconosciuta dalla critica dickinsoniana come suo grande amore. È certo infatti che la maggior parte delle poesie di Emily, soprattutto a tema amoroso o erotico, siano dedicate proprio a lei, lettrice privilegiata dei suoi componimenti.
Ogni episodio ha il titolo di un verso di una poesia di Dickinson ed è incentrato sul processo creativo che l’ha generata, partendo da un evento apparentemente irrilevante. Non avremo mai la conferma che quello che viene raccontato nella serie sia successo realmente ma non si può nemmeno escludere, come afferma Martha Nell Smith, professoressa all’University of Maryland e grande esperta di Emily Dickinson. La studiosa in un’intervista ha dichiarato di aver trovato la serie molto verosimile e divertente.
Il registro adottato infatti è quella della commedia pop, dove abbondano i riferimenti alla cultura queer, femminista (a volte anche parodiati) e la colonna sonora è costituita da musica contemporanea. Una scelta non originale che già in passato è stata adottata da altri registi, a cominciare da Sofia Coppola, che per il suo Marie Antoinette (2006) scelse una colonna sonora new wave, post punk.
È evidente che queste scelte stilistico narrative siano finalizzate a far conoscere la poeta ad un pubblico più vasto e giovanile. Emily e il suo gruppo (la sorella, il fratello, Sue e altri amici) sembrano infatti ragazzi dei giorni nostri, chiamati a confrontarsi con le stesse sfide e desiderosi di godersi la vita allo stesso modo.