Archivio film Cinema News — 17 Agosto 2019

Regia: Michel Ocelot

Durata: 95 minuti

La giovane kanak Dilili arriva in Francia dalla Nuova Caledonia per figurare in un villaggio indigeno per lustrare di meraviglia gli occhi dei parigini. Durante il suo soggiorno conosce un fattorino di nome Orel, al quale nulla sfugge della movimentata vita della capitale e dei suoi più illustri cittadini. Assieme al ragazzo, Dilili si mette a investigare sulla misteriosa sparizione di alcune ragazzine, rapite ai quattro angoli della città. Dietro il mistero, come si scoprirà, c’è una malvagia setta il cui obiettivo è fermare in ogni modo l’emancipazione delle donne.

Le eroine femminili sono sempre più interessanti della controparte maschile. Soprattutto nel cinema di animazione, e senza particolari distinzioni geografiche. Partita idealmente come sorella di Kirikou, troppo chiara per la Nuova Caledonia e troppo scura per i francesi, Dilili è la metafora più collaborativa di Michel Ocelot. Il congiungimento finale a un’ideologia che il regista e animatore francese, con incommensurabile pazienza e dedizione, ha disseminato nel suo cinema partendo dal puritanesimo dei precedenti lavori fino alla difesa delle donne espressa con forza in Dilili a Parigi. Come uno zio premuroso, un po’ buffo ma estremamente colto – soprattutto per chi scrive che con il regista francese è da qualche tempo entrato in un clima di confidenze e garbate punzecchiature amabilmente sparate in difesa della malandata cultura europea, o contro lo strapotere dell’imperialismo cinematografico americano –, Michel Ocelot veste la sua Dilili come una bambolina e la catapulta in una Belle Epoque coloratissima lasciandole vivere un intrigo alla Gaston Leroux. Nel profondo della sua poetica di artista c’è in realtà il desiderio di marcare con maggiore chiarezza il terreno e di ritrovare nella sua protagonista comportamenti e sfaccettature delle tante eroine immaginate su piccolo e grande schermo dal compianto Isao Takahata, a cui Ocelot era legato da rapporto di amicizia e devozione.

Ed eccola lì, la piccola Dilili: tenace, incurante del pericolo, decisa a risolvere il “suo” caso e dotata di un modo di esprimersi da grandi (chi è la sua mentore? L’anarchica Louise Michel, nientemeno). Un’eroina gentile e curiosa che decolla in un intreccio in cui faticherebbe a procedere se non fosse per i tanti surrogati dello stesso Ocelot che hanno il volto di Claude Debussy, Sarah Bernhardt, la soprano Emma Calvé, più tutti gli altri. Una condizione quasi obbligata per interpretare il magnetismo del mondo infantile, ma al tempo stesso con l’implicito riferimento a dover confrontarsi con il mondo degli adulti in un esercizio ludico intelligente e garbato che trasforma Dilili da soggetto esotico da visionare in personaggio attivo. Che alla fine si assicura l’indistruttibilità del manifesto femminista vivente, in azione per conto delle donne.

Attorno a lei, Ocelot illustra un mirabolante sfondo parigino in cui mescola scorci popolari della città (Place de la Bastille, il Moulin Rouge, Place Vendôme, eccetera) ad altri meno noti, in un miscuglio di sfarzo e luoghi miserabili, prendendo spunto da fotografie che restaurano il passato e riportano lo spettatore al fascino di un’epoca ormai soltanto riproducibile grazie ad artifici artistici sullo schermo. Ma il risultato è assieme sorprendente e fedelissimo. Lo stile grafico approntato è ancora una volta una perfetta combinazione di 2D e 3D e sebbene qualche titubanza nell’intrigo, Dilili a Parigi lascia un ricordo gioioso e di totale appagamento. Il film si indirizza con andatura sicura verso quel cinema umanista, rafforzato da spirito pedagogico, che Ocelot prende davvero sul serio e continua a fare nella speranza di contagiare il maggior numero di spettatori, giovani e adulti.

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