Ivi recensiamo, brevemente ma speriamo esaustivamente, il bel e sorprendente DogMan firmato da un redivivo e bentornato, soprattutto in forma prettamente cinematografica, Luc Besson. Approdato, in Concorso, alla kermesse dell’80.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, per la prima volta in assoluto in vita sua.
Regista infatti che non necessita di presentazioni, però raramente invitato a manifestazioni d’autore, talento assai precoce del Cinema francese, un nome che spopolò presso i cinefili “underground” e imperversò specialmente negli anni novanta, avendo sfoderato opere di cult e più o meno commerciali, quali Nikita, Léon & Il quinto elemento, stella cineastica un po’ ultimamente appannatasi e presa sotto gamba, or, come dettovi, gareggiante splendidamente al Festival di Venezia per il Leone d’oro con questo nuovo suo opus degno di nota e in gran parte meritevole.
Scritto, oltre che naturalmente da lui stesso diretto, Dogman rielabora palesemente, a proposito di Golden Lion, il trionfatore dell’edizione festivaliera di cinque anni fa, ovverosia il magnifico Joker di Todd Phillips e, in forma dichiaratamente derivativa, ne è una variazione tematica e “imitativa”, giustappunto, decisamente intrigante, fascinosa ed efficace, sia sul versante emotivo che su quello qualitativo.
Vi viene narrata e illustrataci la malinconica e sfortunata vita di Douglas (uno strepitoso Caleb Landry Jones), internato in una struttura psichiatrica e arrestato dalla polizia, subito dopo il tetro e inquietante, lisergico incipit incalzante.
Qui viene sottoposto all’interrogatorio psicanalitico, assai umano e sensibile, della dolce e premurosa dottoressa Evelyn (una brava Jojo T. Gibbs).
Douglas le confida, dettagliatamente, la sua infanzia terribile, ripiena di violenze domestiche e osceni, raccapriccianti abusi subiti, commuovendoci col suo racconto triste, disperato e angosciante, altresì veritiero e coraggioso, fortemente toccante. Pian piano, Doug rivela ad Evelyn, senza vergogna alcuna, bensì con enorme umanità stimabile, il resoconto cronachistico del suo durissimo e travagliato excursus esistenziale. Sin ad arrivare, anzi, a ritornare all’inizio di flashback, nell’esplosione vigorosa ed emozionalmente accecante del catartico climax finale che non vi riveliamo. Raffinatamente fotografato da Colin Wandersman e sorretto da un’interpretazione titanica di Caleb Landry Jones, Dogman non è di certo un capolavoro ma merita tutto il nostro apprezzamento poiché Besson è riuscito, con questo suo cinecomic molto sui generis, a intrattenerci e appassionarci con tatto e delicatezza, al contempo abbagliandoci con secchi e improvvisi cambi di registro esplosivi e furiosi che sanno abbinarsi e incastrarsi perfettamente fra loro, alternando brillantemente le scene più action e quelle più intensamente melodrammatiche, quasi mai ricattatorie.