Archivio film Cinema News — 16 Gennaio 2022

Titolo: È andato tutto bene (Tout s’est bien passé)

Regia: François Ozon

Sceneggiatura: François Ozon, liberamente tratta dal libro di Emmanuèle Bernheim

Cast: Sophie Marceau (Emmanuèle), André Dussollier (André), Géraldine Pailhas (Pascale), Charlotte Rampling (Claude), signora svizzera (Hanna Schygulla)

Fotografia: Hichame Alaouie

Scenografia: Emmanuelle Duplay

Trucco: Natali Tabareau-Vieuille

Produzione: Eric e Nicolas Altmayer

Nazionalità: Francia

Anno: 2021

Durata: 113 minuti

Poliedrico e capace di giostrarsi con talento fra generi diversi, François Ozon torna a temi di rilevanza sociale con È andato tutto bene, presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes. Il regista di Grazie a Dio (2019), in cui affrontava il problema dei preti pedofili, stavolta si è ispirato al romanzo autobiografico di Emmanuèle Bernheim per parlare di un altro argomento difficile e ostracizzato: l’eutanasia.

André (André Dussollier), noto collezionista d’arte di 85 anni, si ritrova ricoverato d’urgenza in terapia intensiva per un ictus. Il suo viso è deformato e non è più in grado di muoversi in modo autonomo. Al suo capezzale accorrono le figlie Emmanuèle (Sophie Marceau) e Pascale (Géraldine Pailhas) per le quali è stato un pessimo padre, egoista e abilmente perfido nel metterle, da bambine, sempre l’una contro l’altra. Per sua fortuna, le due donne hanno superato i traumi dell’infanzia: non hanno dimenticato i suoi fallimenti sia come padre, sia come marito, ma non gli serbano troppo rancore. Riescono persino a convincere la madre Claude (Charlotte Rampling) – una scultrice che ha vissuto per anni depressa e ora è malata – a venire a trovarlo, malgrado lo detesti.

Sembrerebbe l’ennesima storia su un anziano malato e capriccioso finché non si giunge a un punto

di svolta: André vuole morire e sceglie la figlia dal carattere più forte, Emmanuèle, per affidarle il compito di aiutarlo. Quella che pare una richiesta dettata dalla disperazione si rivela una scelta maturata e consapevole. L’anziano è lucido e determinato, e come dice chiaramente “vivere non è sopravvivere”. Non vuole essere l’ombra della persona che è stata, dipendente dalle figlie e incapace di governare il proprio corpo. La sua mente non ha subito danni dall’ictus e non accetta la prospettiva di non poter mai più tornare a camminare, né tollera il ghigno del suo volto.

Un progressivo, lieve miglioramento fa sperare alle figlie che possa cambiare idea. Ma André è irremovibile ed Emmanuèle è costretta a trovare il modo per accontentarlo. Riuscirci non è semplice, perché anche la laica Francia, come l’Italia, non ammette l’eutanasia. La donna, dapprima risentita con quel padre assente che ora la carica di una così grave responsabilità, si mette alla ricerca di una soluzione. La trova in Svizzera, dove il desiderio di André può essere assecondato legalmente, ma a caro prezzo (10 mila euro), con l’aiuto di una misteriosa signora (Schygulla). Mettere in pratica il progetto è tutt’altro che semplice, per le condizioni di André e anche per una soffiata che all’ultimo momento rischia di far saltare tutto. Le due sorelle, che vengono convocate dalla polizia, sospettano che il colpevole sia GM, un enigmatico personaggio che lo spettatore all’inizio può scambiare per un figlio illegittimo ma che poi si rivela essere l’amante del padre.

In È andato tutto bene Ozon racconta l’eutanasia focalizzandosi sulla relazione fra il padre e le figlie e sul percorso interiore di Emmanuèle per giungere ad assecondare questa scelta. Non è facile condurre un genitore – anche un cattivo genitore – alla morte, in una società dove non esiste un percorso prestabilito e normato, e dove esaudire questo desiderio significa compiere un reato. Emmanuèle vive il peso della missione che le viene affidata e si ritrova la vita sconvolta.

Senza esprimere giudizi, né prendere posizione, Ozon disseziona con precisione chirurgica i sentimenti di Emmanuèle, interpretata da un’ottima Sophie Marceau. In questa situazione estrema, emergono i ricordi della sua relazione con il padre e la fragilità di chi, spesso solo in virtù delle apparenze, è giudicato dai genitori il figlio “forte”. Allo spettatore spetta il giudizio su se una morte con dignità debba essere, o meno, un diritto per una persona in una società civile in cui un’esistenza più lunga non è sempre sinonimo di qualità della vita. Di fronte alla magistrale interpretazione di Dussollier che, grazie a una protesi, sembra realmente un anziano colpito da ictus, è naturale porsi una domanda: cosa faremmo al posto suo? È questo dubbio, che Ozon riesce a insinuare, il suo contributo alla riflessione sul delicato tema dell’eutanasia.  

Emmanuèle Bernheim è scomparsa nel 2017 per un tumore. Con Ozon aveva collaborato come sceneggiatrice per Sotto la sabbia (2000) e all’uscita del suo libro gli aveva sottoposto il testo per ricavarne una sceneggiatura. Ma solo dopo la sua scomparsa, come ha dichiarato il regista, si è sentito pronto ad affrontare questa storia.  

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