In una Napoli fatta di caos, tifo calcistico, famiglia e dramma Paolo Sorrentino racconta un pezzo di sé con il suo film in concorso alla 78esima Mostra del Cinema di Venezia.
È Stata la Mano di Dio è pezzo di esperienza personale del regista che porta con sé il dramma della scomparsa dei genitori a causa di una fuga di monossido di carbonio nella loro casa di Roccaraso. La ricostruzione di un frammento di vita, magistralmente accostato a storie immaginarie e raccontato attraverso il giovanissimo Fabietto Schisa (Filippo Scotti) che invece di andare insieme ai genitori, riesce a farsi dare il permesso per andare a vedere Empoli-Napoli. Una salvezza data dal suo idolo Maradona che forse rappresenta qualcosa di più. Un salvatore non solo di “due patrie calcistiche” ma del giovane, perché come dice Alfredo (Renato Carpentieri) a Fabietto è stato lui: è stata la mano di Dio.
In una cornice estremamente poetica in cui convivialità famigliare e irriverente ironia si mescolano alla vita osservata attraverso gli occhi di un adolescente che sente la mancanza di quegli affetti dettati dall’amicizia e di un’amore. Il ritratto di una famiglia poliedrica: ognuno ha i suoi pregi e i suoi difetti, i suoi desideri e le sue sofferenze, i suoi piaceri e i suoi vizi.
Mentre la zia Patrizia (Luisa Ranieri) si lascia ammaliare dall’apparizione del monaciello per scongiurare la sua sofferenza, il rapporto tra i genitori si fa altalenante e tra Saverio (Toni Servillo) e Maria (Teresa Saponangelo) aleggia il triste fantasma dell’infedeltà.
Nel film ogni attore è perfettamente integrato nel proprio ruolo trasmettendo una naturalezza e un’emozione che calano lo spettatore in una magica è impalpabile atmosfera fatta di ricordi. Non c’è una predominanza ma, tutto è perfettamente coeso e raccontato in modo straordinario. Ironia e dramma convivono in armonia senza appesantire i toni. Non c’è solennità per qualcosa che rompe un equilibro all’interno del protagonista che deve convivere con il suo senso di abbandono e dolore.
Un cammino autobiografico in cui tragedia e salvezza dettano le regole di un futuro che Fabietto inizia a scrivere, seduto sul sedile di un treno in cui l’emozione resta irrisolta accompagnata da una “Napule è” carica di sentimenti da raccontare.