Regia Michael Dougherty
Cast Kyle Chandler, Vera Farmiga, Millie Bobby Brown , Ken Watanabe, Charles Dance, Ziyi Zhang
Durata 2h 12 minuti
Sul fatto di non sapere mai chi sia l’autentico nemico in un kaiju eiga, i “film di mostri giganti” per dirla alla giapponese, viene in soccorso Millie Bobby Brown quando alla madre Vera Farmiga dice: “Il mostro sei tu!”. È una magra consolazione. Tanto vale dirlo subito. Anche perché Godzilla II: King of the Monsters si candida con impeto tipicamente hollywoodiano a peggiore incarnazione possibile di quel nobile genere nato nel 1954 con Ishiro Honda e il verde lucertolone radioattivo. O meglio: più che di impeto bisognerebbe parlare di sovraeccitazione da parte del cultore del genere kaiju, il regista Michael Dougherty, con l’effetto catastrofico e paradossale di aver intaccato la dignità cinematografica del suo idolo. È un brutto film, Godzilla II: King of the Monsters, anche quando riparte, in buona fede, dalle macerie di San Francisco del precedente capitolo diretto da Gareth Edwards. La convinzione di offrire al pubblico un’idea di blockbuster multipack tramite la partecipazione degli altri titani del kaiju, Mothra, Rodan e King Ghidorah, si trasforma infatti piuttosto alla svelta in un ingorgo esasperato con troppe voragini narrative lasciate aperte. Da un lato c’è la famiglia Russell, che su quelle macerie invoca disperata il nome del figlioletto morto. Dall’altro troviamo l’agenzia di cripto-zoologia Monarch intenta a sorvegliare i mostruosi titani, “gli antichi dei”, pronti a risorgere sulla terra e a dar battaglia a Godzilla per la supremazia sul branco. Ma non è finita: contro la Monarch si affianca una banda di ecoterroristi capitanati da Charles Dance che agisce nella convinzione di poter salvare il pianeta e rapisce, guarda caso, la signora Russell (Vera Farmiga), con il suo dispositivo in grado di interferire con i kaiju. Nessuno dei tre ne esce bene: se la coerenza è tutto, perfino in film del genere, qui non è chiaro che fine abbia fatto.
Per chi ha amato il film di Gareth Edwards, la sua perfetta estetica di film d’azione e film di mostri, ripartire dalle macerie di San Francisco somiglia quasi a un riflusso involontario che, sulla carta o nella testa di Dougherty, fate un po’ voi, doveva aprire a qualcosa di cinematograficamente grandioso. Quasi un esperimento scientifico. Ovvero: l’elaborazione del lutto che si immischia con la materia kaiju provvedendo così a risoluzione finale per il bene di tutti. Bestie, umani e pianeta Terra. In tale frangente, Godzilla II: King of the Monsters si trascina dietro variazioni su tema con affondo invero piuttosto banale sui cambiamenti climatici, il sovrappopolamento, a tal punto fuori posto da apparire un déjà vu da disaster movie e non più da kaiju eiga.
Questa indecisione fatale, o ingordigia da ghiottone cultuale, ha reso Michael Dougherty estremamente poco sciolto con la celebre creatura. L’infornata action, i duelli mostruosi sullo schermo inducono certamente in tentazione lo sguardo, ma è l’intera organizzazione dei temi, la caratterizzazione dei personaggi (Kyle Chandler è a rischio credibilità fin da quando sale a bordo della navicella della Monarch) e la mancanza di coerenza, appunto, a svilire la possanza bestiale della pellicola. Lo sfoggio di cliché ormai imbarazzanti (ecoterroristi, un villain come Charles Dance davvero poco magniloquente, l’improbabile centralità offerta al personaggio di Vera Farmiga e tutto l’ambaradan bellico che sfigura in confronto alle belle sequenze immaginate da Edwards nel film precedente), appiattiscono clamorosamente il mito di Godzilla. Lo riducono a mera bestia avventizia. Anziché rinverdirne la memoria come invece ha provato a fare in maniera autonoma Hideaki Anno con il “suo” Shin Godzilla. Dietro il mondo delle scelte del film, infine, resta un mistero la presenza di Millie Bobby Brown. Se da un lato la sua apparizione ha infiammato i ricordi spedendoci indietro nel tempo, al giapponese Gamera 3 – The Revenge of Iris (1999), dove la ragazzina protagonista viveva rapporto conflittuale con la creatura, la riconversione cinematografica che vede l’attrice inglese protagonista qui e nel prossimo Godzilla vs. Kong ci sembra un’ulteriore sottolineatura nei riguardi della fenomenologia di Stranger Things e di lei a confronto di nuovo con mostri giganti. Peggio di questo, solo lo scambio non verbale tra lei e Charles Dance nell’ascensore. Quello sì davvero mostruoso.