Archivio film Cinema News — 12 Novembre 2022

Titolo: Il mio vicino Adolf (My neighbor, Adolf)
Regia: Leon Prudovsky
Sceneggiatura: Leon Prudovsky
Cast: David Hayman (Marek Polsky), Udo Kier (Hermann Herzog), Olivia Silhavy (signora
Kaltenbrunner), Kineret Peled (agente israeliana dei servizi segreti), Jaime Correa (capo del
consiglio del paese), Danharry Colorado (postino)
Fotografia: Radek Ladczuk
Montaggio: Hervé Schneid
Musiche: Łukasz Targosz
Suono: Carlos Arcila
Produzione: Haim Mecklberg, Estee Yacov-Mecklberg, Stanislaw Dziedzic, Klaudia Smieja
Co-produttori: Julieta Biasotti, Diego Conejero, Julio César Gaviria, Juan Pablo Lasserre
Nazionalità: Israele, Polonia, Colombia
Anno: 2022
Durata: 96 minuti
Presentato all’ultimo Festival di Locarno, Il mio vicino Adolf è un film sul nazismo che sa dosare
dramma e commedia in modo sapiente. In oltre settant’anni dalla fine dell’ultimo conflitto
mondiale, un’infinità di film ci hanno raccontato la Shoah attenendosi alla verità dei fatti narrati e
alla loro drammaticità, da Schindler’s List (1993) a Il figlio di Saul (2015). Qualcuno ha provato a
usare un registro comico e surreale, come Train de Vie (1998), ma è un’eccezione. Il giovane
regista israeliano Leon Prudovsky ha scelto quest’ultima strada, costruendo una storia inconsueta,
che fa sorridere e funziona fino all’ultimo fotogramma.
Europa dell’Est, nel 1934. Tre generazioni della famiglia ebraica Polsky sono riunite e posano
insieme in giardino per una foto che li ritrae felici. Fra di loro, c’è il giovane campione di scacchi
Marek con la moglie e i loro due figli. Ventisei anni dopo, nel 1960, siamo in Sudamerica. Il
trentenne borghese e disinvolto è diventato un vecchio provato dalla vita (interpretato dall’attore
inglese David Hayman). Vive solo, in una casa di campagna diroccata, in compagnia dei suoi
fantasmi. A ricordargli chi è stato, restano la foto di quel giorno lontano, una scacchiera e un
cespuglio di rose nere, le preferite di sua moglie che non c’è più, come il resto della famiglia.
Polsky è diventato un uomo scontroso, che odia i tedeschi per quello che gli hanno fatto e che tiene
i contatti con il mondo leggendo un quotidiano, recapitato ogni mattina dal postino.
A fianco a casa sua, c’è un’abitazione abbandonata e in vendita. Sembra incredibile che qualcuno
oltre a lui abbia voglia di venire a vivere in un simile luogo desolato, ma succede. La dimora viene
ristrutturata e si installa, con grande disappunto di Polsky, un tedesco, tale Herzog (Udo Kier, visto
in vari film di Lars von Trier). I rapporti si incrinano fin dal principio: il cane Wolfie calpesta le
amate rose dell’anziano e i due vicini si scontrano sul tema dei confini della proprietà. Queste

indesiderate relazioni avvicinano il solitario ebreo al tedesco, altrettanto solitario, ma assistito da
una donna di mezza età dal piglio marziale, tale Kaltenbrunner.
Giorno dopo giorno, nella mente di Polsky si fa strada un’idea: quel bizzarro vicino assomiglia a un
Adolf Hitler invecchiato. E se il dittatore non fosse veramente morto? Se fosse fuggito in
Sudamerica, come tanti criminali nazisti? Quest’ipotesi lo ossessiona. Il sedicente Hermann Herzog
ha gli stessi occhi del Fuhrer, gli stessi scatti d’ira, adora il suo pastore tedesco, è mancino e dipinge
come lui… Polsky non trova più pace. Adolf va smascherato e punito. Decide quindi di diventarne
amico per procurarsi le prove da sottoporre ai servizi segreti israeliani.
Leon Prudovsky riesce a costruire un film intelligente e divertente con pochi mezzi e un cast
ridottissimo, ma efficace. Hayman incarna con bravura il sopravvissuto della Shoah autoesiliato e
sprofondato in un’esistenza anonima e insignificante che d’improvviso ritrova un motivo per
vivere: la vendetta. La sua controparte, Kier, è perfetto nei panni dell’uomo di potere decaduto,
astioso e arrogante, e costretto a nascondersi. A tratti, ricordano Walter Matthau e Jack Lemmon in
Due irresistibili brontoloni (1993). Eppure, due personaggi così agli antipodi troveranno un punto
d’incontro. Giocando con l’ironia e la comicità, Prudovsky lascia aperta la porta alla speranza: le
relazioni umane possono sempre cambiare. Più caricaturali rispetto ai due protagonisti sono le due
figure femminili di contorno, la fidata signora Kaltenbrunner e l’autoritaria agente segreta
israeliana, tuttavia funzionali nell’economia della trama, che non manca di sorprendere, fino alla
fine.

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