Il primo prodotto Netflix realizzato dai fratelli di Minneapolis si colloca al di là di una semplice riscrittura dei codici di genere.
Il western è sempre stato (assieme al noir) il filtro linguistico di cui Joel e Ethan Coen si sono più serviti per demistificare l’orizzonte hollywoodiano, piegandolo al grottesco, al tragicomico, al parossismo melodrammatico-cartoonesco senza (quasi) mai ridurlo a coatta (ri)scrittura parodica.
Già Arizona Junior verteva su certi paradigmi western come rapporto personaggi-spazio-azione, mentre le distese innevate in Fargo, quelle brulle e assolate in The Big Lebowski e Fratello dove sei? erano una piena dichiarazione d’intenti.
E se Non è un paese per vecchi (tratto dal capolavoro di Cormac McCarthy) era un western formale, con Il Grinta c’è stata una prima vera e propria aderenza al genere.
Con La Ballata di Buster Scruggs però la questione è assai più complicata e raffinata rispetto a Il Grinta, il quale sotto la confezione ben fatta nascondeva una pedissequa, e a tratti viziata, riproduzione del referente classico.
I Coen partono dal racconto orale, che si fa scrittura e poi diventa immagine. Un percorso narrativo in cui le brevi ballate costituiscono insieme la memoria collettiva di una nazione e di un cinema che oggi resta solo pura e semplice evocazione misterica, splendente leggenda di ciò che un tempo fu Storia, auratico riverbero di un genere prima umanissimo e morale, ora solo mito dell’immortalità.
La profondità umana narrata da John Ford, Delmer Daves, Howard Hawks e Anthony Mann, attraverso uomini vigorosi scolpiti nella roccia e dalla statura biblica, in The Ballad of Buster Scruggs viene sostituita da una genia oltreumana di pistoleri folli, ragazzi-tronco e vecchi cercatori d’oro che continuano a vivere anche se trapassati da una pallottola.
Per i fratelli di Minneapolis il western si è ridotto a fantasma di un genere, in cui il tratteggio screwball che si alterna al romance e al gotico,non è un semplice discorso faceto di derisione del canone, ma una follia dionisiaca che trascende l’umano al di sopra del bene e del male.
Questo era già molto chiaro nel precedente Ave, Cesare! dove il mito dell’immortalità divistica veniva rappresentato attraverso un Hellzapoppin di corpi duttili e metamorfici.
Buster Scruggs, protagonista della ballata di apertura (che poi da il titolo all’intero film), è una maschera demente un pò alla Larry Semon, un corpo-volto di gomma flessibile che porta la morte per poi trasmutare forma e farsi impalpabile idea, volatile concetto di rappresentazione.
Non il capolavoro dei Coen, ma sicuramente una delle loro opere più profondamente astratte e filosofiche in cui si rievoca la mitopoiesi del racconto, per un’umanità che ascolta e guarda attonita la propria ombra nel buio della mitica caverna.
Voto: 7 1/2