Titolo originale: A Most Wanted Man
Regia: Anton Corbijn
Fotografia: Benoit Delhomme
Montaggio: Claire Simpson
Scenografia: SebastianT.Krawinkel
Costumi: Nicole Fischnaller
Musiche: Herbert Gronemeyer
Cast: Philip Seymour Hoffman, Rachel McAdams, Willem Dafoe, Robin Wright, Daniel Bruhl
Distribuzione: Notorious Pictures
Durata: 121 min
Nazionalità: Regno Unito, USA, Germania
Anno: 2014
Siamo nel posto 11 settembre e l’agente segreto Gunther Bachmann si ritrova a indagare su un rispettato uomo mussulmano che sembra finanziare segretamente delle attività terroristiche. Assieme alla sua squadra e all’aiuto di una giovane avvocata, Bachmann riuscirà ad incastrare il suo obbiettivo, ma non tutto andrà come prestabilito.
Alcuni degli attentatori dell’undici Settembre avevano base ad Amburgo, e da lì hanno progettato il più grande attentato della storia moderna. Da quel giorno la città tedesca divenne un luogo ad alto rischio, dove servizi segreti tedeschi e americani avrebbero dovuto collaborare per sventare qualsiasi imminente minaccia terroristica. E’ di questo, ciò di cui parla il romanzo di John Le Carrè (A Most Wanted Man), più un thriller politico che una spy story.
Servizi segreti e spionaggio solitamente rimandano a sparatorie esplosive, inseguimenti, belle donne e Martini con ghiaccio, ma non questa volta. Questa volta è un racconto intimo, introspettivo del capo dei servizi segreti di Amburgo.
Il regista Corbijn, infatti, è bravissimo a trasporre nel film questa storia di spionaggio anomala, che all’azione preferisce l’attesa e la sfida all’intelletto. Sembra una regia distaccata, glaciale, invece è totalmente l’opposto. Il pubblico si ritrova spesso appostato assieme a Gunther, nella sua macchina, come silenziosi amici, come supporto durante le ore piccole e come immobile compagnia durante una sigaretta il mattino presto. La vita del personaggio di Philip Seymour Hoffman è questo: lunghi silenzi, poche parole, alcool, solitudine e infinite attese durante gli appostamenti. Un uomo dedito notte e giorno al suo lavoro, la sua vita.
L’interpretazione dell’attore americano impreziosisce la figura del detective al punto da affezionarcisi nel giro di un paio d’ore scarse. Hoffman regala al proprio detective un’umanità difficile da trovare in altri personaggi del genere, stanca della vita e di tutti i sotterfugi e i compromessi che essa, a volte, ci impone.
Son lontani i tempi dello scarno The American, qui non solo, nonostante l’intricato romanzo di le Carrè, il regista olandese Anton Corbijn, supera di gran lunga se stesso, ma confeziona un ottimo prodotto, chiaro sotto tutti i punti di vista e reso semplice dai modi cinematografici scolastici, ma efficaci.
Va anche detto, ovviamente, che Corbijn beneficia del raro talento di Seymour Hoffman, che con quest’ultima interpretazione ci lascia per sempre. L’ultima scena è il suo grido di collera, l’ultimo atto di recitazione di un attore che esce di scena come nel film nella vita, lasciandoci tutti un po’ esterrefatti, tutti un po’ arrabbiati e diciamolo pure anche un po’ più soli.