Titolo originale: Leatherface
Regia: Julien Maury e Alexandre Bustillo
Soggetto: Tobe Hooper
Sceneggiatura: Seth M.Sherwood
Fotografia: Antoine Sanier
Musica: John Frizzel
Interpreti: Stephen Dorff, Lily Taylor, Sam Strike, James Bloor, Jessica Madsen, Sam Coleman
Produttore esecutivo: Tobe Hooper
Casa di produzione: Millennium Films
Paese: Stati Uniti
Anno: 2017
Durata: 110 minuti
Nel suo libro “Chainsaw Confidential” l’attore Gunnar Hansen afferma di essersi preparato per il ruolo di Leatherface, osservando i disabili in un istituto. Una strategia vincente la sua, vista la verosimiglianza dei gesti e nei comportamenti conferita al maniaco con la motosega, che imperterrito si sta avviando progressivamente al mezzo secolo di vita. Memore probabilmente delle dichiarazioni di Hansen, il duo Bustillo/Maury, che ha ottenuto il plauso della comunità horror con “Inside” e “Livid”, dimostrando un’autorialita’ radicale, affronta con questo prequel la prova più rischiosa della sua carriera, partendo proprio dalla casa di cura in cui Jed Sawyer, qualche tempo prima di mascherarsi con la pelle delle vittime, viene confinato dall’agente Hartman, per avergli ucciso la figlia. Un luogo questo che è un autentico freak show di psicotici in sintonia totale con l’archetipo scaturito nel 1974 dalle menti perverse e insieme lucidissime di Tobe Hooper e Kim Henkel: la sessuomane Clarice, il sadico Ike, il gigante ritardato Bud e naturalmente lo stesso Jed, non immediatamente riconoscibile dallo spettatore per l’identità camuffata, quasi a sancire la molteplicità di personalità che la sua maschera comporterà . Sicché quando questo campionario di folli evade, prendendo in ostaggio l’infermiera Lizzy, la carneficina in stile natural born killers (v.la scena nella griglieria) può cominciare a beneficio di un pubblico morboso. E la morbosità si configura come uno dei caratteri peculiari delle opere dei due registi, che oltre ad alzare l’asticella della truculenza, non ci risparmiano sesso necrofilo e motoseghe come regalo di compleanno ad un tenero bambino. Qui contrariamente ai film di altri autori horror non c’è solo il rapporto fra i diversi e i normali, ma s’impone l’epifania del diverso, che ha come corollario la follia più delirante e bestiale. Una follia endemica e virale, che contagia le stesse istituzioni: quella poliziesca rappresentata dal sanguinario Hartman e quella sanitaria del medico a capo dell’ospedale psichiatrico, che non a caso ci ha ricordato per la fisionomia Boris Karloff. Se le persone con disabilità mentale non possono trovare la comprensione dei normali, non devono però rassegnarsi a subire. Infatti la carica sovversiva della saga è sempre poggiata sul punto di vista di chi appartiene all’alterità.
E la matriarca Verna Sawyer, splendidamente incarnata da Lily Taylor, lo sa bene:educa Jed all’omicidio efferato, imponendosi come una Circe texana, che con i suoi poteri magici corrompe non solo i figli ma un agente, che finisce in pasto ai maiali-metafora allusiva-tanto è labile qua il confine fra animalista e umanità .
Al duo francese riesce l’impresa insomma, che aveva fallito Jeff Burr in “Leatherface: The Texas Chainsaw Massacre 3” (1990): donare alla saga una figura matriarcale degna di competere per potenza espressiva con Faccia di pelle, Drayton e il nonno.
Gaudeamus igitur dunque, che fra i successori di Hooper, Bustillo e Maury sono quelli che hanno metabolizzato meglio il gusto malsano, delirante e politico del compianto maestro.
E Tobe si godrà così lo spettacolo dall’alto dei cieli, fumandosi uno di quei Montecristo, che soleva regalargli Tom Savini sul set di “Non aprite quella porta parte 2”.