Archivio film Cinema L'Enfer News — 10 Dicembre 2014

Titolo originale: Eventyrland
Regia: Arild Østin Ommundsen
Fotografia: Arild Østin Ommundsen
Montaggio: Arild Østin Ommundsen
Scenografia: Arild Østin Ommundsen
Musiche: Thomas Dybdhal
Cast: Silje Salomonsen, Tomas Alf Larsen, Egil Birkeland, Vegar Hoel, Fredrik S. Hana
Distribuzione: ActionFilm
Durata: 91 min
Nazionalità: Norvegia
Anno: 2013

Jenny (Silje Salomonsen), dopo aver scontato una pena per omicidio, prova a riscattare la propria vita, smaniosa di prendersi cura di sua figlia, una bambina di nove anni avuta mentre era già in carcere. Non sarà affatto facile, costretta a cedere ai ricatti di una banda di spacciatori con la quale sembra essere indebitata e che la tiene in trappola.
L’aria che si respira in Eventyrland (2013), thriller di matrice sociale del norvegese Arild Østin Ommundsen (il quale ha fatto da operatore e ha anche curato fotografia, montaggio e scenografia) è un’aria soffocante e rarefatta: ci si affanna appresso alle vicende di Jenny. L’incidente (l’omicidio che non doveva accadere) viene annunciato subito nell’incipit metaforico: quel sottobosco meraviglioso e, al contempo, inquietante nel quale si trova la protagonista con il suo ragazzo e la serra dove si recano subito dopo, punto del non ritorno, con l’emblematico telo di copertura rotto, (riproposto in diversi momenti del film) e dove le loro vite cambieranno per sempre.
La caccia all’uomo parte da subito con l’immagine del fucile e si concluderà soltanto alla fine del film con quell’angosciante cracking skull di brutale lucidità, dalla ferocia disperata, col quale Refn aveva aperto Valhalla Rising (l’associazione è soggettiva, complice la matrice scandinava comune, ma tant’è). La lotta per la vita di Jenny la porta a compiere un gesto finale (e liberatorio) carico di tutte le sciagure che è stata costretta a subire in quell’ambiente abietto dal quale non riesce a uscire.
Questo noir segue il percorso di Jenny nel suo paese delle (anti)meraviglie (Alice i Eventyrland è il titolo norvegese del romanzo di Carroll). La lotta tra il bene e il male viene rivelata anche in momenti percepiti in maniera confusa, come quello delle pasticche che vengono fatte prendere alla donna prima di mettere a segno il ”colpo delle vernici” che un attimo dopo (stessa inquadratura e nelle stesse mani) si trasformano in dolci, oppure come l’intera colonna sonora, amorevoli canzoni dal contenuto bucolico ma del tutto fuori luogo con i momenti e con la vita tutta della protagonista. Atmosfere che non saranno mai della donna, per intenderci.
Il quotidiano della bambina, della figlia, abbozza lo ”zero”, l’età dell’innocenza (le camminate sulla neve sono dei piccoli manifesti, così come l’alternarsi delle immagini della madre in una macchina che cerca disperatamente la figlia e la figlia in un’altra macchina con i tormentatori della madre, ignara del pericolo che sta correndo e usando le stesse inquadrature). Tutto per la bambina deve ancora iniziare e l’approccio degli adulti è sempre un illusorio (e di buon auspicio) Only Make Believe (sottotitolo del film), come la foresta che viene dipinta sulle pareti per rendere la casa più accogliente e serena.
La voce di Ommundsen parla chiaro. Ogni scelta ha delle inevitabili conseguenze e, in questo caso, ha portato i due allo stato di cattività: Frank (Fredrik Hana) rimarrà paralizzato su una sedia a rotelle e Jenny, invece, e dopo aver scontato nove anni di prigione, non sarà libera di vivere la propria vita intrappolata com’è nel suo passato.

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