Archivio film Cinema Libri News — 06 Maggio 2017

Mettete insieme la caparbietà tipicamente meridionale, il gusto per la contaminazione dei linguaggi, l’attitudine radicata verso la libera espressione artistica e avrete una buona approssimazione di quella scintilla che nel cinema degli albori, diventò una colossale mozione d’ordine. Tutto questo è stata Elvira Notari. In più non amiamo particolarmente il sessismo nel mondo del cinema, che sfortunatamente è uno dei caratteri peculiari della nostra industria cinematografica. Un concetto aereo e un’ ostilità istintiva la nostra. Scegliendo dunque il soggetto della sua monografia pubblicata da LFA Publisher, Chiara Ricci, critica cinematografica votata a figure femminili dell’audiovisivo larger than life come Anna Magnani e Monica Vitti, dedica il suo studio ad un personaggio rivoluzionario nel nostro cinema, realizzando un piccolo gioiello, che armonizza il distacco necessario e la tensione indispensabile. Un libro necessario per evidenziare lo sforzo, che oggi compie una minoranza di critici, di rinnovare il loro campo d’interesse, in un florilegio di monografie orientate spesso sui gusti dettati dalla cinefilia presente sui social. Torniamo però al presente: cineaste come Costanza Quatriglio, Eleonora Danco, Paola Randi e Giorgia Farina rappresentano ora la punta dell’iceberg in un cinema italiano povero di idee fra documentario e finzione, che continua a relegare le registe in un circuito marginale, seguito solo dalla critica più oltranzista. Tuttavia occorre sempre fare i conti con il passato ed ecco che uno studio su Elvira Notari diventa così indispensabile. Chiara Ricci fa della regista salernitana una scommessa per la ricognizione in una galassia parzialmente esplorata di registe, che hanno operato dal primo Novecento fino al Ventennio, attive soprattutto nel contesto napoletano, raggiungendo esiti espressivi e poetici di notevole impatto emotivo. Per l’autrice la Notari va considerata come una progenitrice di generi popolari come la sceneggiata, i musicarelli e il neorealismo, grazie ad opere come Addio mia bella addio (1915), Pupatella (1923), Fantasia ‘e surdato (1927), Patria e mamma, Gennariello il poliziotto (1922), fissando le ramificazioni di una poetica netta e precisa: la famiglia matriarcale, donne colme di sottigliezze psicologiche, la giustizia ultra-terrena, il melodramma e gli spaccati sulla malavita napoletana con i suoi codici e gerghi. Nel cast di queste opere spicca la presenza del figlio Eduardo Notari, figlio di Elvira, che utilizza lo pseudonimo di Gennariello, come simbolo di un’epica degli ultimi. Senza contare le testimonianze della nipote che la dipingono come una regista determinata, pignola e contraria agli artifici attoriali. Per fare un esempio concreto: lei pretendeva dagli attori, che piangessero lacrime vere senza ricorrere al trucco di inumidirsi le ciglia con la glicerina. Oppure la lotta spesso impari fra la regista e la censura fascista, pronta ad azzannarla per i contenuti antimilitaristi e “il vilipendio del soldato italiano” , che permeavano opere come Patria e mamma. E questa verginità del cuore critico che difende l’autrice dal cinismo, dal calcolo biecamente utilitaristico, dalla rassegnazione e dall’abbruttimento della ripetizione senza perché, che ci consente di guardare il mondo come un evento nuovo. Se è vero che ai posteri sono giunti solo tre film, conservati presso la Cineteca Nazionale, di una regista che vanta una cospicua produzione fra corti, docfilm e lungometraggi, questo tomo è colmo di citazioni testuali, testi di canzoni incluse nelle colonne sonore, di una documentazione rigorosa e spesso d’epoca, denunciando fin dal titolo l’intenzione di riesumare una delle tante filmografie sommerse del cinema italiano, che meriterebbero di finire nei corsi del DAMS. Il libro di Chiara Ricci, che viene introdotto da una prefazione di Steve Della Casa, getta così una nuova luce su quel cinema partenopeo, che continua oggigiorno a regalarci in continuazione una vitalità sorprendente e radicale ed è un crimine sottostimare anche per il critico più severo.

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