Archivio film Cinema News — 02 Novembre 2023

Titolo: Lubo

Regia: Giorgio Diritti

Sceneggiatura: Giorgio Diritti, Fredo Valla

Cast: Franz Rogowski (Lubo), Christophe Sermet (commissario Motti), Valentina Bellè (Margherita), Noémi Besedes (Elsa), Cecilia Steiner (Klara), Joel Basman (Bruno Reiter)

Aiuto regia: Federico Nuti

Musiche: Marco Biscarini

Montaggio: Paolo Cottignola, Giorgio Diritti

Costumista: Ursula Patzak

Scenografia: Giancarlo Basili

Produzione: Fabrizio Donvito, Bendetto Habib, Marco Cohen, Daniel Campos Pavoncelli per Indiana Production; Giorgio Diritti, Francesca Scorzoni per Aranciafilm; Christof Neracher per Hugofilm Features; Claudio Falconi, Alberto Fusco, Andrea Masera per Proxima Milano

Nazionalità: Italia/Svizzera

Anno: 2023

Durata: 175 minuti

In concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2023, Lubo di Giorgio Diritti rientra appieno nelle tematiche con le quali ama misurarsi il regista bolognese, legate alle minoranze, a persone e a fatti della storia filtrati attraverso lo sguardo della gente comune. 

Stavolta Diritti e il suo fedele cosceneggiatore Fredo Valla attingono a un romanzo, Il Seminatore di Mario Cavatore, per costruire la figura di Lubo Moser, il protagonista del film. Siamo nel 1939, nel Canton Grigioni, in Svizzera. Un giovane artista di strada si esibisce travestito da orso insieme alla moglie e ai suoi bambini. La gente ride e regala qualche monetina per lo spettacolo. Poi la famiglia riparte al bordo di un carro. Sono nomadi jenisch, chiamati anche “zingari bianchi”, perché hanno origini germaniche e fisicamente non si distinguono dalla gente dei Paesi in cui vivono. Durante il viaggio, il carro viene fermato dai gendarmi e Lubo Moser viene portato via perché come cittadino elvetico è tenuto partecipare alla difesa dei confini. La Svizzera teme infatti una possibile invasione da parte nazista.

Indossata la divisa, Lubo subisce di malavoglia la privazione della libertà imposta dalla vita militare, finché un giorno il nipote lo raggiunge per comunicargli una tragedia: la sua giovane moglie Mirana è morta mentre tentava di difendere i loro tre bambini che le guardie volevano portare via. A partire dal 1926, l’Opera di Soccorso per i bambini della strada, promossa dalla potente organizzazione Pro Juventute, ha cercato di strappare i piccoli jenisch alle famiglie, ritenute inadeguate, per rieducarli e crescerli in istituti o affidandoli a famiglie adottive. L’obiettivo era combattere il fenomeno del nomadismo, togliendo ciò che rappresenta il futuro di una famiglia e di una cultura: i figli.

Sconvolto per il dolore, Lubo si presta a compiere un lavoro di contrabbando per un facoltoso ebreo viennese, Bruno Reiter. Durante l’operazione, in un momento di follia, Moser uccide Reiter, si appropria dei suoi documenti e della sua macchina, dove si trovano nascosti dei gioielli di valore e molto denaro. Con l’aiuto di un amico falsario, inizia così una seconda vita come Bruno Reiter, calandosi nei panni di un ricco commerciante austriaco. Il corpo del morto, decapitato, viene scambiato per quello di Lubo Moser, che è quindi dichiarato defunto.

Lubo-Bruno si mette sulle tracce dei suoi bambini, usando le amicizie femminili giuste. In particolare la fotografa Elsa, vedova e attivista della Pro Juventute, che diventa sua amante, aprendogli diverse porte. Malgrado i suoi sforzi, non riesce a scoprire nulla. La sua nuova vita e la storia con Klara, moglie di un banchiere, non colmano il suo vuoto interiore. Nella terza parte del film, ritroviamo Lubo a Bellinzona, dove si lega a Margherita, cameriera nell’albergo in cui soggiorna e madre di un bambino, Antonio. La donna rimane incinta e con lei Lubo sembra ritrovare la serenità perduta. Ma i delitti si pagano e per Moser si apriranno le porte della galera… Che cosa lo aspetterà, alla fine della pena? 

Il film di Giorgio Diritti ha un grande merito: quello di aver raccontato una pagina di storia poco nota e vergognosa della Confederazione Elvetica. Negli anni in cui Hitler portava avanti i suoi programmi di eugenetica e di eliminazione fisica di ebrei e zingari, la Svizzera non è arrivata a tanto, ma ha tentato di cancellare dal suo territorio una minoranza. Non era sbagliata l’idea di offrire anche ai bambini jenisch la possibilità di andare a scuola, ma era profondamente ingiusto e criminale farlo strappandoli ai loro affetti, attribuendo loro una nuova identità e costringendoli a dimenticare il passato. Questo tipo di reato rientra nella definizione di genocidio riconosciuta dalle Nazioni Unite. La persecuzione nazista contro gli zingari è stata condannata nel dopoguerra, mentre in Svizzera la Pro Juventute è andata avanti indisturbata a infierire sui bambini jenisch fino al 1973. 

Con l’aiuto di un bravo protagonista, Franz Rogowski, e di un ottimo cast, Lubo riesce perfettamente a raccontare questa vicenda. Interessante è anche la ricostruzione della vita degli jenisch e dei loro carri-abitazione, forniti di comfort tali che li facevano assomigliare ad antesignani delle roulotte. Il film tiene un buon ritmo fino all’arresto di Lubo Moser. Poi, nella parte finale, probabilmente per un’eccessiva dilatazione dei tempi, perde di mordente. Quanto alla sceneggiatura, ci sono alcuni passaggi poco credibili. In particolare risulta inverosimile che un’artista di strada si possa tramutare da un giorno all’altro in un mercante di gioielli d’alto bordo, capace di muoversi senza mai tradirsi in ambienti sociali che non conosce. O che riesca a improvvisarsi perfetto guidatore di un’auto su una strada di montagna, solo perché è rimasto seduto per qualche ora vicino a una persona alla guida. Piccoli difetti da perdonare, in nome di quella meravigliosa finzione che è il cinema, una magia che Diritti sa padroneggiare. 

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