Archivio film Cinema News — 30 Ottobre 2021

Titolo: Madres paralelas

Sceneggiatura e regia: Pedro Almodóvar

Cast: Penélope Cruz (Janis), Milena Smit (Ana), Israel Elejalde (Arturo), Aitana Sánchez Gijón (Teresa), Rossy de Palma (Elena), Julieta Serano (zia Brígida)

Fotografia: José Luis Alcaine (AEC)

Suono diretto: Sergio Bürmann

Scenografia: Antxón Gomez

Montaggio: Teresa Font

Musiche: Alberto Iglesias

Costumi: Paola Torres

Acconciature e trucco: Pablo Iglesias

Produzione: Agustín Almodóvar, Esther García

Nazionalità: Spagna

Anno: 2021

Durata: 120 minuti

Presentato in concorso all’ultima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, Madres paralelas ha fruttato una meritata Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a Penélope Cruz. Stavolta Almodóvar ha ritagliato per lei un personaggio complicato, in cui convivono spinte ideali e contraddizioni, al quale l’attrice madrilena riesce a dare un volto con disinvoltura. Janis (Cruz) è una fotografa quarantenne single, che lavora per la sua migliore amica Elena (Rossy de Palma, una delle attrici cult del regista), direttrice di una rivista. Sul set, incontra per lavoro Arturo (Elejalde), un antropologo forense. Janis proviene da una famiglia tutta al femminile: figlia di una madre hippy scomparsa da giovane, è stata cresciuta dalla nonna, che aveva perso il padre per mano dei falangisti. Almodóvar effettua così un’incursione nella memoria perduta spagnola, puntando il dito attraverso il personaggio di Janis sulle atrocità del passato e sui mancati conti con la giustizia. La ragazza vive infatti come una missione personale riuscire ad aprire la fossa comune in cui giace il bisnonno insieme alle altre vittime dei fascisti, nel paesino della sua infanzia. L’incontro con Arturo è l’occasione perfetta per coinvolgerlo nel suo progetto, ma il caso – che è un personaggio cruciale in questa sceneggiatura – fa finire i due a letto. E qui, magicamente, la fotografa rimane subito incinta.

La ritroviamo nove mesi dopo all’ospedale di Madrid, dove divide una stanza con l’adolescente Ana (Smit), rimasta incinta per errore in una notte brava a base di alcol con alcuni coetanei. Entrambe danno alla luce una bambina: Janis è una madre entusiasta, innamorata della piccola Cecilia, mentre Ana fatica a calarsi nel ruolo materno a causa della sua giovane età, per le circostanze del concepimento e per il rapporto complicato con la madre, Teresa, un’attrice di teatro concentrata sulla sua carriera e per sua ammissione poco incline alla maternità. Quando escono dall’ospedale, Janis e Ana si scambiano i numeri di cellulare per restare in contatto.

A questo punto, è il destino a intervenire di nuovo, facendo sì che due perfette estranee si ritrovino a condividere un dramma molto intimo e personale. La vicenda le avvicinerà a tal punto da cambiare le loro vite e da generare persino un’attrazione imprevista.

Almodóvar non delude mai nella sua capacità di analizzare l’animo femminile, facendo emergere in questo film alcuni dilemmi fondamentali: la voglia di maternità, il rapporto fusionale con il bambino e il desiderio della madre di non rinunciare alla propria sfera professionale e relazionale. E ancora, la maternità sofferta e indesiderata, incarnata dal personaggio di Teresa, che ci ricorda che avere un figlio non è il sogno obbligatorio di ogni donna.

Janis, donna autonoma e forte, tiene in pugno Arturo ed è padrona di se stessa. Finché non accade l’imprevisto che la metterà in crisi. È giusto mantenere un segreto per puro egoismo? Quanto si può amare qualcuno e convivere con la menzogna?

Il film si chiude in modo circolare sulla vicenda d’apertura, ossia la fossa comune e i corpi da riesumare. Dal piano della memoria e del dramma personale si passa a quello collettivo.

Pur apprezzando l’intento del regista e sceneggiatore di proporre all’attenzione del pubblico un tema importante per la storia spagnola del Novecento, l’accostamento non è del tutto riuscito. La vicenda politica avrebbe meritato di essere valorizzata in modo indipendente, mentre in Madres paralelas finisce per essere percepita come una sorta di appendice alla storia principale, funzionale solo a costruire un finale corale in cui personaggi eterogenei, legati solo dall’affetto per Janis, si uniscono in un rito di memoria e di rinascita, dove ciascuno sembra ritrovare la propria serenità e il proprio ruolo al mondo. Anche se non è all’altezza dell’Almodóvar di Volver (1999) o di Parla con lei (2002), Madres paralelas resta un film da vedere per riflettere sull’universo femminile e anche per la bravura del cast, inclusa la giovane Milena Smit, qui al suo secondo film.

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