Con quasi sessant’anni sulle spalle la saga dell’agente segreto britannico al servizio della Regina tira definitivamente le somme per quanto concerne l’immaginario collettivo creato dal mito Bond, ma soprattutto con la parte umana dell’iconico personaggio: James.
Bond resta la patina mitica dell’eroica e immortale figura spionistica creata dalla penna di Ian Fleming, in epoca di guerra fredda, mentre 007 è solo un numero come viene ben sottolineato a più riprese in questo 25° capitolo della saga (il nuovo 007 è una donna, Nomi).
Di tutto ciò rimane solamente James, ovvero l’uomo con tutte le paure e le vulnerabilità che abitano l’essere umano.
No Time to Die già dal titolo suona dolorosamente ironico, dato che verte proprio sulla fine non tanto di un’epoca e di una visione di mondo (a cui aveva già pensato il mirabile Skyfall come ha giustamente sottolineato Emanuela Martini), ma sulla fine di un percorso umano quello di James(Bond).
Già il prologo, aperto dal flashback sull’infanzia di Madeleine Swann (Léa Seydoux) e che prosegue a Civita Lucana (in realtà Matera), immerge l’uomo James nei ricordi. I brandelli di carta bruciata lanciati dalle finestre, contenenti un intimo segreto (come da antica tradizione lucana), illuminano come tante fiammelle il crepuscolo anticipando l’esplosione davanti al loculo di Vesper Lynd.
E’ l’inizio di un lungo training psicanalitico per l’ex 007 in pensione che deve tornare in pista per l’ultima missione e confrontarsi con la nuova forma assunta dall’organizzazione criminale Spectre, ma soprattutto con i propri fantasmi.
I titoli di testa cantati da Billie Eilish esaltano la struggente malinconia di un’opera terminale, lapidaria e dichiaratamente funebre.
Il fuoco che consuma la carcassa di un elicottero illuminando la notte di bagliori sinistri era un’immagine presente sul finale del precedente capitolo, ma poi in chiusura Bond (non James attenzione!) ripartiva per una nuova avventura a bordo della sua Aston Martin e a fianco di Madeline Swann.
No Time to Die invece termina in maniera del tutto inaspettata con una potenza melodrammatica scatenata da una confessione di amore eterno, oltre l’aura romantica del mito, nelle profondità del baratro dei sentimenti umani.
Ovvio che nel mezzo di tutto questo c’è anche l’azione, la spettacolarità delle sequenze IMAX, e giusto un pizzico di ironia tipicamente bondiana. Tra un Martini Dry (rigorosamente agitato e non mescolato) e uno scontro nel covo della Spectre al fianco di una nuova bond girl (Ana de Armas versione bomba sexy!), l’uomo James torna ad essere almeno per un momento (o crede di esserlo) Bond, oo7, il mito immortale.
Ma se nei gloriosi tempi passati l’età da pensione per l’agente segreto britannico aveva generato capitoli dichiaratamente autoparodistici in cui James Bond scherzava sulla proprio immagine invecchiata (Mai dire mai e Octopussy – operazione piovra), ora James toglie il velo di Maya dalla propria icona e si fa definitivamente uomo davanti a un mondo che è (anche) finitezza.