Archivio film Cinema News — 09 Settembre 2022

Regia: Jordan Peele

Cast: Daniel Kaluuya, Keke Palmer, Steven Yeun, Keith David, Michael Wincott

Durata: 131 min.

E’ un film dall’appetito smodato Nope, terza regia di Jordan Peele dopo Scappa – Get Out (2017) e Noi (2019), e la prima a divorare la curiosità dello spettatore fin dall’apparizione del teaser trailer a febbraio in vista di una stagione cinematografica estiva in cui, desiderio dello stesso regista, poter tornare finalmente a godersi uno spettacolo pensato per il grande schermo e non stritolato nelle scorciatoie dello streaming (in molti sperano che i 148 milioni di dollari rastrellati al box office globale non siano un definitivo traguardo). Configurare Nope come evento dalle simmetrie quasi senza tempo in una accorta dispersione cinefila è compito della stampa e della critica, però è certamente incoraggiante sapere che il pubblico americano corre a vederlo e, a visione conclusa, continua a interrogarsi sulla natura del film. Di nuovo accontentando gli auspici del regista. La prospettiva privilegiata da cui Peele parte con questo nuovo lavoro non è limitata alle precedenti due pellicole, ma ingrana la marcia dalla generosità creativa con cui egli si è speso negli ultimi anni producendo pellicole altrui (BlacKkKlansman, il seguito di Candyman) o serie tv dall’anelito cultuale (Lovecraft Country, Twilight Zone). Un’enorme massa di sollecitazione d’autore a cui Nope aderisce fin dalla citazione iniziale dall’Antico Testamento usata nel suo agghiacciante incipit, fiducioso al tempo stesso del potere attrattivo di ambizioso blockbuster.

Dopo l’inspiegabile morte del padre (Keith David), Otis “OJ” Haywood (Daniel Kaluuya) e la sorella Emerald (Keke Palmer) gestiscono un ranch in California fornendo cavalli ai set cinematografici. Dopo essere stati allontanati da una produzione, i due cominciano a valutare come tirare avanti. OJ sta pensando di vendere le sue azioni a Ricky “Jupe” Park (Steven Yeun), ex star bambino di una famosa sitcom degli anni 90, che ora gestisce un parco a tema nelle vicinanze. OJ assiste all’apparizione di un misterioso oggetto nel cielo e, ritenendolo un UFO, assieme alla sorella, desiderosa di diventare famosa, decide di volerlo riprendere con alcune videocamere di sorveglianza. Ben presto, OJ si rende conto che l’oggetto misterioso è in realtà qualcosa di diverso e molto pericoloso.

Al gran frullato di marca Peele, Nope ci arriva evocando, già nelle interviste sulla realizzazione del film e quindi nella densità narrativa ottenuta con soddisfacente sicurezza, il termine “umanità”, all’interno di un progetto nobile (e nobilitante) volto a rivendicare il genere horror per le persone di colore. Lo fa tramite due protagonisti di differente taratura sullo schermo: quasi asettico Kaluuya, dirompente Keke Palmer. Una volta che si è dentro questo spettacolo, è abbastanza facile isolare i generi ammirati da Peele e spediti al traguardo dei titoli di coda in un’ipotetica linea retta che qualifica Nope come horror miscelato alla science-fiction. Le influenze di cui si serve sono sicuro diletto, e le reazioni prevedibili: sia davanti al manifesto del western Non predicare… spara! (1972) con Sidney Poitier, sia assistendo a chirurgica riproduzione dello spirito predatorio visto ne Lo squalo con aggiunta di ammassi di nuvole al posto dell’oceano di fronte Martha’s Vineyard e un fantomatico Quint (l’attore Michael Wincott) con macchina da presa a manovella “più grande” per catturare il mostro. Difficile immaginare tuttavia qualcosa di più gasato delle due gustose citazioni da anime giapponesi presenti nel film: gli Angeli della serie Evangelion (1997) e soprattutto la frenata con la motocicletta in stile Kaneda che per Peele è un modo di ricordare a tutti che al molto desiderato live action di Akira (1988) pure lui era stato preso in considerazione.

L’idea di fondo di Nope è molto acuta. Promette di rimettere al suo posto un brandello di memoria o comunque di spostare l’attenzione nel verso giusto introducendo la storia del cavaliere a cavallo nell’esperimento fotografico del 1878 The Horse in Motion di Eadweard Muybridge. Un cavaliere senza nome che Emerald dichiara essere un loro antenato. Con i suoi tempi d’azione così classici e gli scatti tensivi per il necessario flusso di adrenalina, Nope è tutto sommato un percorso mozzafiato in cui lo spettacolo è elaborato a partire da prerogative forse più stringenti rispetto al risultato finale. Un calembour cerebrale che non immagina particolari interrogativi su ciò che in realtà desidera o spera di essere ma che, a conti fatti, si presenta in maniera schietta e piuttosto esigente con se stesso per ragionare sulla centralità della visione (cosa vedere e cosa no, soprattutto: cosa non fissare negli occhi) e sull’ossessione collettiva per certe immagini, violente e traumatiche, e sulla natura stessa del mondo dello spettacolo. Unico suggerimento: meglio arrivare impreparati al colorito calderone di Jordan Peele. Niente trailer, niente anticipazioni, niente spoiler. Itinerario magari più efficace per godersi Nope.

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