Archivio film Cinema News — 30 Aprile 2023

Ci sono almeno un paio di validi motivi per interessarsi a Notte fantasma, film-
meteora presentato a Venezia 79 nella sezione Extra Orizzonti, uscito alla

chetichella a metà novembre 2022 per scomparire nel giro di una settimana e
riapparire in streaming nell’aprile scorso. Anzitutto il terzo lungometraggio di Fulvio
Risuleo, poliedrico autore romano premiato per qualche corto precedente, ma
attivo anche nel campo delle grafic novel, subisce, ahimè, la medesima sorte di
molti film gettati in sala senza (o quasi) appoggio pubblicitario, visti da pochi critici
ai festival, scambiati spesso per operette da poco, quindi evitati dal pubblico, sia
oggi che prima della pandemia. È un problema annoso del mercato
cinematografico non soltanto italiano, credo insolubile, se non -come in questo
caso- con palliativi come recuperi domestici (dvd, piattaforme). La seconda
ragione d’interesse è il carattere eccentrico, inabituale, del film sul piano narrativo,

oltre all’insolita raffigurazione dei due protagonisti e all’ambientazione spazio-
temporale del racconto. Partiamo dunque dal plot: Tarek, minorenne figlio

d’immigrati, compera del “fumo” per una festa a casa di amici in un parco romano,
ma poco dopo viene fermato da un poliziotto in borghese, che lo obbliga a salire
sulla sua auto e lo porta in giro per la città, in una notte strana, che finirà per
cambiare la vita di entrambi i passeggeri della vettura, per sempre. L’ottima
fotografia di Guido Mazzoni riproduce in colori freddi, ansiogeni (complice anche
una colonna sonora disturbante ed efficace) una Roma insolita, cupa, a tratti
spettrale, un luogo in cui può succedere di tutto. Ciò rappresenta uno dei meriti
maggiori della storia creata dal regista stesso, autore del soggetto e della
sceneggiatura, la quale ha il pregio di condurre per mano gli spettatori attraverso
gli sviluppi imprevedibili del plot in ogni suo contorcimento, costringendoli a
domandarsi di continuo dove li porterà il film, che cosa succederà ai/tra i due
protagonisti, Edoardo Pesce e Yothin Clavenzani, ambedue bravissimi, simbionti
reciprocamente ed in rapporto alle vicende che costituiscono l’ossatura di un film
che richiama apertamente dei precisi modelli americani (p.es. 48 ore (1982) di
Walter Hill, Tutto in una notte (1985) di John Landis, Tutto quella notte (1987) di
Chris Columbus, e, ancora di più, lo stupendo Fuori orario (1985) di Martin
Scorsese), senza dimenticare una certa affinità episodica con opere di registi
nostrani, non a caso anch’essi romani, quali Matteo Garrone e i sotto-valutatissimi
fratelli Manetti. Le peripezie notturne di Tarek e del
poliziotto che l’ha fermato e che a un certo punto non potrà più nascondere la
propria bipolarità, al tempo stesso causa ed effetto dei suoi disastrosi esiti in
servizio e in famiglia, incarnano per sineddoche la strana fauna che si aggira di
notte negli angoli più inusitati, più misteriosi della metropoli capitolina. Separato
da parecchio tempo, l’agente ha una bambina, cui fa visita nottetempo senza
avvertire la moglie, in una scena importantissima per gli sviluppi successivi della
trama. Da quel momento infatti l’uomo capisce il suo completo fallimento come
padre. È da lì che egli comprende che la sua esistenza non ha più alcun senso,
che deve farla finita con le sue altalenanti prove di forza, chiarissime
manifestazioni di un autoritarismo malvagio, alternato con momenti di autentica
familiarità, in cui egli agisce e dà consigli come un fratello maggiore, addirittura
come un vero e proprio padre. In tali circostanze, brevi ma ricorrenti, emergono
dal minorenne di origini egizio-indonesiane (inizialmente ostile, terrorizzato
dall’incontro con un rappresentante della Legge e dalla scoperta della marijuana

appena comperata) qualità, sentimenti, propositi, inclinazioni da amico maturo, o
meglio, maturato proprio nel corso della vicenda. Perché è certo che nella notte
trascorsa per lo più all’interno dell’auto dell’agente, tra inseguimenti, visite a
cimiteri, cene fuori orario e abbondanti bevute in osterie di dubbia moralità,
seguite da maldestri tentativi di approccio di Tarek (sobillato, spinto, quasi
costretto dal suo nuovo “maestro”) con ragazze apparentemente disponibili, che
sfociano in assurde risse violente, il giovane deve percorrere una sorta di itinerario
educativo, di percorso formativo iper-concentrato che lo trasforma alla fine in un
individuo migliore, più equilibrato, capace di affrontare con minor timore la vita
quotidiana e i suoi continui imprevisti. Con abilità indubbia, attraverso un dialogo
essenziale, scarno, forse proprio per questo efficace, ed uno sviluppo degli
avvenimenti che sa catturare e mantenere viva sino al termine del film l’attenzione
del pubblico, Fulvio Risuleo realizza la sua opera cinematografica migliore, una
sorta di poliziesco sotto acido lisergico che egli guida sapientemente, come nota
acutamente Massimo Causo, dalla divertente apparenza di un gioco noir al
professionale utilizzo degli “schemi del genere (l’ambiguità, la minaccia, la
colpevole innocenza, la fatale arroganza del potere)”
[i] Non è poco, mi sembra, non è affatto poco.

1

[i]
In FilmTV n.46, novembre 2023.

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