Regia: Michel Franco
Genere: Drammatico
Sceneggiatura: Michel Franco
Fotografia: Yves Cape
Cast: Naian González, Norvind Diego Boneta, Mónica del Carmen, Fernando Cuautle, Darío Yazbek, Roberto Medina, Patricia Bernal, Lisa Owen, Enrique Singer, Eligio Meléndez, Gustavo Sánchez Parra.
Produzione: Michel Franco, Cristina Velasco L, Eréndira Núñez Larios, Charlotte Uzu.
Nazionalità: Messico/Francia
Anno: 2020
Durata: 86 minuti
La crescita delle diseguaglianze sociali e i conflitti che ne possono derivare è uno dei problemi che il cinema degli ultimi due/tre anni ha affrontato più volte, si pensi allo “storico” Tramonto di Laszlo Nemes, alla commedia nera Parasite di Bong Joon-ho e all’horror Noi di Jordan Peele, solo per citare i titoli più noti e significativi.
Appartiene a questo filone anche l’ultimo lavoro del regista messicano Michel Franco Nuevo orden, vincitore del Gran Premio della Giuria alla 77a Mostra del Cinema di Venezia.
L’opera in questione si svolge in un Messico sconvolto dalla ribellione massiccia e violenta della popolazione più indigente ai danni della borghesia, scontro che riempie le strade e gli ospedali di morti e feriti. Una situazione che coinvolgerà anche la cerimonia nuziale di una delle famiglie più abbienti e influenti del Paese, che vedrà la propria festa rovinata dall’irruzione di alcuni ribelli che intendono compiere una vera e propria strage.
Anche se qui Franco non dimentica di evidenziare le colpe della classe dominante (basti pensare alla scena in cui viene mostrata l’indifferenza della famiglia borghese nei confronti della moglie malata di un loro ex collaboratore), la sua concentrazione si dirige soprattutto sulla violenza diffusa che coinvolge tutto il Paese. Infatti, tanto la regia quanto la narrazione dedicano ampio spazio a soprusi e carneficine varie, compiute in modo sempre meno logico sia dallo Stato sia dall’esercito rivoluzionario, che rapisce i rampolli della classe dirigente per imprigionarli in massa in uno spazio chiuso e segreto che ricorda da vicino i luoghi di reclusione utilizzati dalle dittature militari latinoamericane del Novecento.
Una serie di elementi che rende il film in questione tanto chiaro come apologo sulla follia della violenza quanto ambivalente come riflessione sociopolitica: se da un lato vengono condannate l’indifferenza dell’alta borghesia e la forte diseguaglianza tra classi, dall’altro viene mostrato quanto anche un certo tipo di ribellione possa portare conseguenze nefaste per le vite umane e controproducenti per la causa sociale, che – come si vede nell’ultima parte dell’opera – può essere soffocata dalla reazione impietosa dello Stato.
Il tutto portato avanti da uno stile apparentemente sobrio – composto soprattutto da inquadrature fisse e caratterizzato dalla quasi totale assenza di musica extradiegetica –, ma che in realtà risulta piuttosto compiaciuto nel mostrare uccisioni e altre scene di violenza, su cui indugia a lungo, basti pensare alla carrellata iniziale sull’ammasso di cadaveri e al modo dettagliato con cui riprende l’esecuzione di alcuni ribelli.
Il risultato complessivo è un film freddo nella forma e un po’ superficiale nei contenuti, interessato più a (cercare) di scandalizzare lo spettatore che a portare avanti in maniera cinematograficamente incisiva ed efficace delle riflessioni politiche sul nostro tempo.
Proprio per questi motivi, Nuevo orden risulta molto meno interessante non solo dei film citati all’inizio dell’articolo, ma – restando in Messico – anche di opere come La zona e Un mostro a mille teste, i due thriller di Rodrigo Plà che con uno stile secco e asciutto sono riusciti a raccontare in modo non superficiale ed emotivamente efficace le enormi contraddizioni sociali del Paese latinoamericano.