Archivio film Cinema News — 10 Maggio 2023

Titolo: Ritorno a Seoul (Retour à Seoul)
Regia: Davy Chou
Assistente alla regia: Camille Fleury
Sceneggiatura: Davy Chou
Cast: Park Ji-Min (Freddie Benoît), Oh Kwang-Rok (padre coreano), Guka Han (Tena), Lim Cheol-
Hyun (Kay Kay), Hur Ouk-Sook (nonna coreana), Kim Sun-Young (moglie del padre), Yoann Zimmer
(Maxime), Louis-Do de Lencquesaing (André), Kim Dong-Seok (amico corteggiatore)
Colonna sonora originale: Jérémie Arcache, Christophe Musset
Costumisti: Claire Dubien, Yi Choong-yun
Produzione: Charlotte Vincent, Katia Khazak
Nazionalità: Francia/Cambogia
Anno: 2022
Durata: 117 minuti

Presentato a Cannes 2022 nella sezione “Un certain regard”, Ritorno a Seoul di Davy Chou è un
film che attinge alla vita reale a piene mani. La protagonista, la venticinquenne Frédérique, detta
Freddie, Benoît ha un nome francese, i modi disinvolti di una parigina ma gli occhi a mandorla che
raccontano un’origine asiatica. I suoi genitori adottivi, una coppia francese, l’hanno cresciuta
colmandola di amore. Ma il cuore e la mente della ragazza sono tormentati dalle classiche domande,
che assillano i bambini adottati una volta adulti: chi sono veramente? Chi sono i miei genitori
biologici? Perché mi hanno abbandonata? Chi è stato adottato a cinque o sei anni, a volte serba
qualche ricordo, se non è stato abbandonato in fasce. Freddie era troppo piccola per ricordare
qualcosa. Sale su un aereo raccontando una bugia alla madre adottiva. Finge un viaggio in
Giappone, ma la sua destinazione è la Corea, la terra delle sue radici. Davanti a sé ha due settimane
per trovare le risposte che cerca.
Con l’aiuto di Tena, la ragazza della Guest House dove alloggia a Seoul, Freddie cerca di capire a
chi rivolgersi. Nel frattempo, non tarda a dischiudere ai suoi nuovi amici coreani un temperamento
bizzarro. Il vuoto che si porta dentro lo colma di piccoli gesti eversivi e provocatori: infrange il
galateo coreano per il gusto di farlo, beve, si porta a letto un giovane corteggiatore che si innamora
seriamente di lei. Ma Freddie non sa offrire amore. Prende, fagocita, è affamata dell’affetto che non
ha avuto.
Tramite l’organizzazione che ha gestito la sua adozione, Freddie conosce il padre (Oh Kwang-Rok,
attore già visto in vari film di Park Chang-Wook), la nonna, la moglie del padre e le due sorellastre.
L’accoglienza è davvero affettuosa: il padre è divorato dai sensi di colpa per aver dato in adozione
la sua prima figlia, dopo la separazione dalla prima moglie, che l’ha lasciato per andare a vivere in
città. Anche con loro, Freddie nasconde la sua fragilità dietro un muro di rabbia. Si trincera dietro la
sua identità francese, che in realtà proprio il suo soggiorno in Corea sta sgretolando. La madre biologica, Mija, continua a non respingere le sue richieste di incontrarla e nel cuore di Freddie c’è
una voragine.
Due anni dopo, Freddie è di nuovo a Seoul. Continua a tormentarsi per il rifiuto di sua madre, ma
ormai è sempre più una coreana. La sua vita ruota intorno a relazioni effimere: il francese André,
rimorchiato su Tinder; il giovane tatuatore Kay Kay, che vive nei bassifondi della metropoli. Il
padre non smette di cercarla, implora il suo affetto e il suo perdono.
Trascorsi altri cinque anni, una nuova Freddie torna a Seoul, diventata per lei anche una
destinazione di lavoro. È accompagnata da Maxime, sembra aver trovato un equilibrio affettivo,
non beve più, ma anche stavolta indossa una maschera, che cadrà solo quando la madre biologica
accetterà di incontrarla.
Il film scorre con un ottimo ritmo nelle prime due fasi della storia di Freddie. Poi, subentra una
certa ripetitività. La ragazza sembra non riuscire mai a trovare pace, a riconciliarsi con se stessa e
con le due identità che incarna. Continua a reinventarsi senza sosta, sembra diventare un’altra
Freddie, ma in realtà continua a portarsi dietro la sua tristezza, l’infelicità dei non amati. Forse, è
proprio questo che Davy Chou vuole raccontarci. Non ci si libera facilmente da questa trappola.
Park Ji-Min interpreta con strepitosa bravura la rabbia e il dolore di Freddie. Altrettanto bravo è Oh
Kwang-Rok, che mette in scena un padre debole, pieno di sensi di colpa, ansioso di recuperare un
tempo perduto che è impossibile rivivere.
Davy Chou ha dichiarato di essersi ispirato alla storia vera di un’amica adottata per la
sceneggiatura. Il dramma di Freddie è però potente ed estremo, raro nella sua tragicità. Emoziona e
fa riflettere. Nella vita reale, molti ragazzi adottati da adulti vanno alla ricerca del proprio passato e
dei genitori biologici, ma una volta trovati ritornano all’abbraccio della famiglia che li ha cresciuti.

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