Nel 1951 Viale del tramonto della Paramount era stato sconfitto da Eva contro Eva, un film Fox che aveva ottenuto l’Oscar come miglior film e migliore regia. Due anni dopo Bette Davis ottiene che la Fox produca per lei una specie di Sunset Boulevard al risparmio, vagamente affine al capolavoro di Billy Wilder. La diva narra di una (ex) star ormai invecchiata e quasi sul lastrico che vuole tenacemente risalire la china. Il tentativo di Margaret Elliot è destinato a fallire, ed essa decide di ricominciare da zero insieme ad un meccanico che ripara imbarcazioni e alla figlia adolescente Greta (la 15enne Natalie Wood, che nel 1981 affogherà proprio nel tratto di mare dove fu girata la sequenza della gita in barca). Il regista è Stuart Heisler,quasi sessantenne, sempre in bilico tra originalità e tradizione,tra film di Serie B e produzioni più costose. The star resta incerto, in mezzo al guado, quasi avesse paura a scegliere una collocazione precisa. Si tratta di uno degli innumerevoli film hollywoodiani sulla Mecca del cinema, girati già all’epoca del muto e proseguiti sino ai giorni nostri. Sterling Hayden,che ama l’attrice da quando lo fece debuttare in una pellicola rimasta senza seguito, le spiega che la sua vita è stata sempre illusoria e del tutto subordinata alla sua carriera. Margaret però non sente ragioni, riprende contatto col regista che si appresta a girare un soggetto a lei molto caro, ma è obbligata ad accettare un personaggio di contorno di mezza età e a sottoporsi ad un provino, in cui, contro le istruzioni ricevute, cerca di farsi passare per una donna ancora piacente e dotata di fascino. Vedendo il materiale girato, capisce subito che l’azione del tempo l’ha irrimediabilmente segnata, e che la parte di comprimaria non verrà assegnata a lei. Ad un party un giovane sceneggiatore le espone un progetto scritto per lei, ma l’idea la terrorizza, tanto le sue vicende personali assomigliano a quelle della protagonista. La matura attrice è consapevole che deve cambiare, che le occorre crearsi una nuova esistenza con un uomo e la figlia a fianco. Ma è davvero un happy end quello che chiude il film? O non piuttosto l’immagine della schiavitù immutabile, perpetua della diva, costretta a recitare nel mondo reale in scene identiche a quelle banali, stereotipate che interpretava di continuo sui set? La subordinazione della realtà/della vita alla convenzionalità della finzione/del cinema è dura da cancellare, e la felicità, che sembrerebbe facilmente raggiungibile (a patto di annullarsi come diva, di uscire per sempre da quel mondo dorato, ma fasullo, di cartapesta), non è che la fedele riproduzione della sua boccetta di profumo, rubata in un supermarket, ossia dell’acqua colorata un vero imbroglio, una mera apparenza, com’era in passato tutta la sua esistenza. Sarà davvero diverso il suo futuro?