Ultimamente si può assistere a un tale fiorire di Period Drama, serie televisive con ambientazione storica, connotate alla fine dell’800 che si potrebbe pensare a una bieca operazione delle case di produzione per mettere a regime i tanti soldi spesi per la creazione di scenografie e costumi presenti nei più famosi teatri di posa.
Lo dico perché, mai come negli ultimi anni, la scelta è piuttosto variegata. Si può passare dal classico poliziesco come Ripper Street, Vice City e Copper a serie più strutturate come Peaky Benders, passando per l’horror stiloso di Penny Dreadful al socio-antropologico The Crimson Petal and the White, finendo al western crudo di Hell on Wheels. La scelta è piuttosto varia, con esiti più o meno soddisfacenti per lo spettatore. Ma quando c’è di mezzo un geniaccio come Steven Soderbergh bisogna fermarsi un attimo e prestare molta attenzione, perché il regista/produttore/sceneggiatore/direttore della fotografia/montatore quando parte con un progetto puoi stare certo, nel bene e nel male, che non sarà una sciocchezzuola che passerà inosservata.
Soderberg non è il primo regista cinematografico passato al servizio della terza età dell’oro televisiva, quella che per inciso inizia il suo percorso dopo la mitopoietica serie I Sopranos, e il suo primo contributo è un prodotto che già dalle prime immagini fa capire che è qualcosa di straordinariamente evocativo, ben realizzato e ambizioso.
La serie di cui stiamo parlando è The Knick e narra le vicende di un geniale e tossico medico chirurgo, John Tackery (Clive Owen, altro attore cinematografico passato alla serie tv senza perdere un minimo di autorevolezza e di spessore) che si trova suo malgrado a dover dirigere il suo reparto dopo la dipartita prematura del suo mentore-capo.
Quello che in apparenza potrebbe essere un plot scarno e già visto si tramuta fin dall’episodio pilota in un viaggio storico che entra nel tessuto degli eventi con carne e sangue – che Soderberg non risparmia allo spettatore – e che ci aiuta a capire com’è che oggi, dal punto di vista di aspettativa di vita l’essere umano vada ben oltre quello che si meriterebbe.
The Knick, titolo che prende spunto dal nome dell’ospedale dove si svolgono le storie, il Knickerbocker Hospital appunto, è un opera con parecchie ambizioni. Il problema è che le raggiunge tutte, perché non c’è inquadratura, non c’è storia o sotto-storia che siano superflue e, come succede ormai (fortunatamente) non troppo di rado è la classica serie tv che, finito l’episodio, costringe lo spettatore a balzare sul divano chiedendone di più.
Le scenografie maestose, la musica (moderna ma perfettamente integrata con funzione diegetica) e le prove di attore del cast ne fanno un gioiellino assolutamente imperdibile. Forse, non per i palati più sensibili, perché il tavolo operatorio del dottor Thackery è più simile a una macelleria che a un letto di ospedale e di questo, Soderbergh non risparmia neanche un dettaglio.
In un’epoca dove il massimo della sterilizzazione era bagnarsi la lunga barba ben curata in una bacinella prima di operare, e si rimane allibiti vedendo questi semplici gesti, ci si può aspettare davvero di tutto, rendendo quella che oggi può essere una semplice operazione di routine in un omicidio.
Ma la grande forza di questa serie non è solo l’esplorazione in campo medicale: è un vero manuale di viaggio per i turisti temporali di un epoca: la fine dell’800, dove tutto sembrava alla portata di mano e tutto era ancora in divenire. Vedendo quelle immagini non si può che provare rispetto per i pionieri dell’umanesimo che, attraverso errori madornali, ego smisurati e una visione lungimirante hanno permesso il raggiungimento di obiettivi incredibili sia dal punto di vista medico, sia dal punto di vista sociale. Ed è questa la prima ambizione raggiunta dalla serie: renderci consapevoli che oggi stiamo ancora vivendo di rendita sulle spalle di veri e propri giganti. Il bardo che ne narra le gesta è Soderbergh. L’opera è The Knick.