Archivio film Cinema News — 26 Settembre 2019

Oggi, recensiamo The Nest. Un film della durata di un’ora e quarantasette minuti, uscito purtroppo in poche sale lo scorso ferragosto.

Una pellicola inaspettatamente bella passata sotto silenzio.

Ci sentiamo doverosamente di parlarne innanzitutto perché il suo regista è un giovane italianissimo, classe ‘81. Vale a dire il barese Roberto De Feo, qui già alla sua seconda prova dietro la macchina da presa dopo numerosi, rilevanti cortometraggi e il pregevole ma sempre piuttosto snobbato e “invisibile” Ice Scream del 2016.

Tratto da una storia di De Feo stesso, da lui sceneggiata assieme a Lucio Besana, Margherita Ferri e David Bellini, The Nest è un mistery assai inquietante dalle atmosfere cupamente oniriche, pregno di suggestive, livide sfumature orrorifiche che possono ricordare il migliore Dario Argento.

Trama:

Samuel (Justin Korovkin) è un bambino divenuto paraplegico in seguito a un incidente stradale. Il quale vive isolato dal resto del mondo, in una villa immersa in un bosco spettrale, assieme a sua madre Elena (Francesca Cavallin) Una donna sensibile ma al contempo un po’ retriva, arcigna e dispotica che impartisce al figlio un’educazione assai severa. Pare preoccupata, infatti, unicamente d’impartire al figlio delle rigide lezioni di pianoforte e di tramandargli la sua passione per la musica classica, in particolare il suo viscerale amore per Beethoven.

In questa cimiteriale mansion gravitano anche personaggi apparentemente integerrimi come il dottor Christian (Maurizio Lombardi) e loschi figuri a prima vista moralmente impeccabili.

Intanto, Samuel fa amicizia con la giovanissima domestica Denise (Ginevra Francesconi). Con la quale instaura, pian piano, un rapporto di reciproca fiducia e confidenziale empatia. Denise aiuterà Samuel a confidarsi e ad aprire il suo cuore alle vere, seppur non sempre piacevoli, emozioni della vita.

Quella vita da sempre preclusagli non soltanto dal suo handicap fisico, bensì in particolar modo dalla durezza educativa e psicologicamente castratrice di sua madre Elena.

Una donna affascinante, certamente, molto colta e persino prodiga d’affetto nei confronti di suo figlio Samuel, nonostante il suo strano, ambiguo modo di dimostrarglielo, che però non riesce a sganciarsi dalla sua visione asfitticamente classista del mondo, paralizzandolo mentalmente, pietrificandolo, imbalsamandolo, cristallizzandolo e sigillandolo in un’eterna, sin troppo eterea e reiterata infanzia asfissiante come se Samuel fosse una dolce bomboniera da non sciupare. Da ovattare e non esporre alla luce del sole per il timore inconscio che la sua creaturale purezza possa essere sporcata e contaminata dalla vita reale con le sue ferine, inesorabili delusioni crude e taglienti.

Atterrita da un’irrazionale, superstiziosa paura ancestrale che suo figlio, già reso debole dalla sua menomazione fisica, possa spezzarsi, sgretolarsi e (cor)rompersi nella sua pudica, delicatissima e fragile anima dirimpetto alla malvagità impietosa del mondo.

Ché soventemente è brutalmente cinico e affettivamente spesso arido.

Una premessa già di per sé abbastanza inquietante seppur non originalissima.

Per cui, come già sopra accennatovi, la fisica minorazione di Samuel si congiunge e propaga, in maniera inevitabilmente speculare alla perpetratagli, forse involontariamente, punizione inflittagli incoscientemente da sua madre.

La quale, ottenebrata dalla trepidazione angosciante che suo figlio possa essere scalfito ancor di più di come fisicamente sia già sfortunatamente “rotto”, lo seppellisce vivo e lo mummifica, ostruendone la crescita psicologica e frenando il suo naturale, fisiologico, istintivo respiro passionale verso la vita.

Ecco allora che The Nest diviene un inusuale, perturbante horror dell’anima, una metafisica e spaventosamente glaciale discesa negli inferi della coscienza e un’esplorazione fascinosa del tema del libero arbitrio.

Prestandosi dunque a molteplici chiavi psicanalitiche dalla robusta, efficacissima forza emotiva.

The Nest non è un capolavoro e molte atmosfere paiono riciclate pedissequamente da pellicole senza dubbio superiori sull’argomento.

Ma De Feo s’è dimostrato estremamente lodevole nell’inoltrarsi intrepidamente in questa storia macabramente lucente, crepuscolare e sottilmente tanto terrificante quanto cupamente abbacinante.

Ovviamente, non possiamo rivelarvi il finale.

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