Titolo originale: The Young Pope
Regia: Paolo Sorrentino
Soggetto e sceneggiatura: Paolo Sorrentino e Stefano Rulli
Montaggio: Cristiano Travaglioli
Musiche: Lele Marchitelli
Cast: Jude Law, Diane Keaton, Silvio Orlando, Javier Cámara, Cécile de France, Ludivine Sagnier, James Cromwell.
Produzione: Wildside, Haut et Court TV, Mediapro
Anno: 2016 – in produzione
Durata: 55 minuti circa (ciascun episodio)
Nazionalità: Italia, Francia, Spagna, Regno Unito, USA
The Young Pope, la serie televisiva (composta da dieci episodi) ideata, scritta e diretta dal Premio Oscar Paolo Sorrentino, ha debuttato lo scorso 21 ottobre sul canale satellitare Sky Atlantic entusiasmando il pubblico per il cast e la trama del tutto singolare e, in un certo senso, perfettamente al passo con in nostri tempi.
Infatti, Sorrentino non soddisfatto dei lauti successi avuti con La grande bellezza e Youth tenta il colpaccio sul piccolo (ormai non più tanto piccolo) schermo. E non si può dire, in tutta onestà, che la sua idea non sia geniale. La serie televisiva, infatti, come il suo titolo ben ci suggerisce, racconta dell’ascesa al soglio pontificio del “Papa giovane” (successore di Giovani Paolo II) Pio XIII, al secolo, Lenny Belardo.
Sorrentino nei primi episodi (soprattutto nel primo e nel secondo) è davvero molto bravo nel tracciare, sia a livello di sceneggiatura sia a livello di ripresa “tecnica” il ritratto di uomo (e di un Papa) assolutamente fuori dal comune. Le prime informazioni che ci vengono fornite sono che Lenny Belardo (Jude Law) è un orfano di padre e di madre: è figlio di una coppia di “figli di fiori” che lo abbandonano in un orfanotrofio dove viene cresciuto da Suor Mary (Diane Keaton). Questo trauma innesca nell’animo dell’uomo un netto rifiuto della società, degli affetti e…anche di Dio divenendo tutto e il contrario di tutto. Anzi, di niente. Più volte, infatti, il Santo Padre afferma di non essere niente ma non lascia passare molto tempo prima di dire di essere grande e forte quanto Dio. Ad ogni modo, Sorrentino sapientemente crea un Papa che, con il suo comportamento, sta deliberatamente gettando la Chiesa alle ortiche. E’ un Papa assolutamente sui generis: non vuole fare merce della sua immagine e questo non come si potrebbe pensare per dare un certo insegnamento, ma perché è “l’attesa che crea la presenza”. Egli preferisce ispirarsi a personaggi quali Kubrick, Mina, Bansky, Salinger i quali pur non facendosi mai vedere creano la presenza. Ed è prorpio per questo che nel suo discorso ai fedeli in Piazza San Pietro decide di mostrare soltanto la sua silhouette e di non farsi vedere.. tanto che quando la folla lo reclama egli dubita lo meriti. È un Papa che non rispetta il divieto di fumo nel palazzo apostolico istituito dal suo predecessore, che sbuffa quando deve battezzare novanta bambini e quando deve dare udienza. È Papa omofobo ma favorevole al divorzio, alla masturbazione, alla procreazione scientifica, al libero arbitrio, al sesso non vincolato alla procreazione, al piacere. Ed è fermamente contro il pianto e contro ogni manifestazione di sentimenti. Al suo fianco come segretario personale, per la prima volta, desidera una suora, quindi una donna ovvero Suor Mary gettando in allarme tutti i Cardinali che ancora sperano in un incontro con Lui. In particolar modo, c’è il Cardinale Voiello (Silvio Orlando) che non ha affatto in simpatia questo “San Francesco venuto da Sidney” che parla persino con i canguri (antipatia del tutto ricambiata) ed è fermamente deciso a bloccare il declino della Chiesa che, per un errore di accordi e per sventatezza, il Conclave ha affidato ha un giovane invasato, orgoglioso, ambizioso, niente affatto umile, asessuato, gelido e vendicativo tanto da cercare di indurlo in tentazione perché, come afferma lo stesso Voiello, anche “la Chiesa è femmina”.
In questa fitta trama di eventi e di personaggi che Sorrentino crea, realizza e gestisce con grande abilità come se stesse giocando una fondamentale perdita di scacchi, però, c’è un po’ troppo Sorrentino. O meglio: Sorrentino non dimentica di essere Sorrentino. Così, si passa dall’autocelebrazione quando una scena iniziale del primo episodio sembra riproporne una che appare in Youth o i video di Maradona (cui il regista ha dedicato il suo Premio Oscar) che vede Voiello; alla continua citazione anche di altri film. Ne sono un esempio il mappamondo color ghiaccio nella sala delle udienze del Papa che ricorda quello con cui Chaplin – Il grande dittatore giocava, o ancora la battuta in cui Don Tommaso afferma che gli fanno male i capelli ripetendo, così, una battuta pronunciata da Monica Vitti in Deserto rosso di Antonioni del 1964. E ancora, le diverse sequenze oniriche che non possono non ricordarci Federico Fellini e il primo espressionismo tedesco. Certamente sono tutti ingredienti interessanti e di prima qualità ma forse sarebbe bene che Sorrentino iniziasse a mescolare i propri ingredienti o che, almeno, la maggioranza fossero farina del suo sacco. È un ottimo “cuoco” ma dovrebbe dimenticarsi di essere il Sorrentino de La grande bellezza e creare uno stile più “sorrentiniano”…del resto anche Fellini sognava di diventare un aggettivo.