Archivio film Cinema Eventi News — 11 Aprile 2019

Pigiato fra l’austerità assai sabauda dovuta ai finanziamenti pubblici, l’assenza per malattia  di una vedette del cinema autoriale come Jean-Pierre Léaud e il ritorno di un divo affezionato come Nanni Moretti (il doc Santiago, Italia)  il Torinofilmfestival è stato costretto suo malgrado a compiacere di meno il circolo mediatico ma a valorizzare come sempre il cinema di ricerca. Capire come funziona un festival come questo dietro le quinte con la sua brama di seguire un percorso orientato verso la novità  a scapito del populismo, non è compito della platea, ma piuttosto della critica. E qui il Torinofilmfestival 2018 s’impone come contraltare perfetto alle manifestazioni con tanto divismo ma poca sostanza. Non ci sono i registi più gettonati del  momento  alla Paolo Sorrentino ma quando nel programma delle varie sezioni compaiono  registi come Paul Dano (Wildlife), Ethan Hawke (Blaze) , Marielle Heller (Copia originale),  Gustav Möller (The Guilty), Börkur Sigþórsson (Vultures, vera rivelazione noir), Jia Zhangke (Ash is the Purest White),Aleksej German Jr (Dovlatov), Jason Reitman (The Front Runner),Ben Wheatley (Happy New Year, Colin Burstead), Josephine Decker (Madeline’s  Madeline), Brillante Mendoza (Alpha, the Right to Kill),Claire Denis (High Life v. foto),Pascal Laugier (La casa delle bambole – Ghostland), Nicolas Pesce (Piercing) e Simone Catania (Drive me Home), il fatto che un domani rischiano la politica degli autori, non va considerato con noncuranza.

La forza della Torino festivaliera di Emanuela Martini è anche il bisogno di offrire ai cinefili merce rara dunque.

I polemici di professione invocano il film evento?  Ecco The Front Runner con Hugh Jackman nei panni del politico Gary Hart e la sua carriera stroncata da una scappatella extra-coniugale.  I cinefili nostalgici vogliono riscoprire  un autore ?  Non si articola così una manifestazione solo dedicata a Rita Hayworth, ma   le personali su Jean Eustache, Powell e Pressburger e Amando de Ossorio sono la risposta, anche se simili registi non hanno certo bisogno ormai di nessuna canonizzazione.E mentre un’ondata di opere seconde conferma  lo statuto di terroristi dei generi di certi autori, come accade a Panos Cosmatos e il suo horror Mandy, dove Nicolas Cage torna perlomeno a fare una figura dignitosa. Però anche qua si vede la tendenza a procacciare il nuovo cinema, abbattendo gli steccati tutti italici, come è ben noto, fra film autoriali e commerciali. Poi si può discutere per ore sulla scelta  e sull’insipienza di certi attori passati dietro la mdp (Valerio Mastandrea e il suo Ride), ma rischiamo di passare le giornate a costruire la difesa o l’accusa ai film come molti cinefili su facebook.Di Torino contano come sempre la sperimentazione, l’azzardo, la ricerca espressiva, la nicchia e l’underground vivaddio, tutte caratteristiche consolidate in  trentasei anni di onorata carriera e a conti fatti, d’una coerenza esemplare. Emanuela Martini con la sua cinefilia pop e sofisticata al tempo stesso ha dato l’impronta, seguendola e rispettandola  sempre di più.  La critica poi deve fare la sua parte: niente solipsismi da social, ma evidenziare piuttosto l’evoluzione espressiva nell’epoca del digitale e le nuove tecniche di storytelling, di cui il festival torinese è decisamente zeppo.

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