Ti West, classe 1980, è sicuramente tra gli autori americani che negli ultimi 15 anni
hanno cercato di rielaborare il genere horror sul piano estetico.
L’America raccontata da West, fin dai suoi primi lavori (The Roost [2005]), è quella
agricola legata a riti e miti oscuri che spesso affondano le radici in una religiosità
malsana, tema che poi diviene nevralgico in The Sacrament (2013) in cui la struttura
da found footage viene piegata al servizio di una certa dimensione politica
contemporanea.
West proviene dalla Factory di Eli Roth (non a caso ha firmato la regia di Cabin fever
2 – il contagio [2009]) ma rispetto alla facile poppizzazione del genere operata dal
collega, il suo è un cinema più metariflessivo in grado di utilizzare forme e linguaggi
estetici del passato per raccontarne i meccanismi interni e i loro processi per creare
spavento/godimento.
Chi ha battezzato il suo (bellissimo) The house of the devil (2009) come un’opera
semplicemente revival non ha compreso a fondo il senso dell’operazione che in
quest’ultimo X ha trovato il pieno compimento teorico.
X, oltre alle risibili polemiche sul V.M. 18 che ha ricevuto dal visto di censura, è stato
superficialmente cassato anche da una certa critica solitamente molto vicina alla
riflessione teorica sull’immaginario orrorifico.
Detto questo X è ad oggi il miglior lavoro di West, sicuramente il suo film più
raffinato e stratificato in cui si apre un campo di battaglia ideologico sull’utilizzo del
corpo femminile nel cinema contemporaneo, partendo proprio dal genere apicale
ovvero quello pornografico. Tutta la prima parte è una rivisitazione affettuosa e
ironica (quasi una commedia) della Golden age of porn dove Mia Goth (bravissima!)
incarna la corporeità disinibita di un genere e di un’epoca per poi farsi corpo-cerniera
tra i due linguaggi analizzati dal cineasta statunitense, il porno e l’horror.
West cita le atmosfere malsane di Meir Zarchi (la sequenza del bagno della Goth
arriva direttamente da Non violentate Jennifer [1978]) e di Tobe Hooper (c’è persino
l’alligatore di Quel motel vicino alla palude [1976]), gioca con forme e formati (dal
full screen all’8 mm) enucleando il rapporto tra sesso e morte.
X è un film che riflette sul binomio eros/thanatos e a differenza dello slasher
tradizionale le vittime non vengono decimate perché fanno sesso ma per un senso di
invidia da parte di chi il sesso non può più goderlo in maniera vitalistica.
Il concetto lacaniano di jouissance è il nodo centrale di tutto il film, dove il
godimento sessuale (e ovviamente scopico) è anche un diritto di proprietà rivendicato
da una dimensione prossima alla morte che prima di andarsene desidera godere per
l’ultima volta in termini vitalistici, facendosi una sana scopata!