Titolo: Philomena
Regia: Stephen Frears
Soggetto: Tratto dal romanzo The Lost Child of Philomena Lee: a Mother, her Son, and a Fifty-year Search di Martin Sixsmith
Sceneggiatura: Steve Coogan, Jeff Pope
Cast: Judy Dench, Steve Coogan, Charlie Murphy, Simone Lahbib, Sophie Kennedy Clark
Fotografia: Robby Ryan
Montaggio: Valerio Bonelli
Scenografia: Alan MacDonald
Costumi: Consolata Boyle
Musiche: Alexandre Desplat
Produzione: BBC Films, Baby Cow Productions, Magnolia Mae Films, Pathé
Distribuzione: Lucky Red
Origine: Gran Bretagna
Anno: 2013
Durata: 94 minuti
Philomena è un’anziana signora irlandese loquace e briosa, appassionata di romanzi rosa. Nasconde però un segreto che la tormenta da moltissimi anni: da giovane, rimasta incinta, è stata rinchiusa in un convento e pochi anni dopo il suo bambino è stato dato in adozione, contro la sua volontà, dalle stesse suore che la ospitavano. Dopo molti infruttuosi tentativi di ritrovare il figlio, ora la donna ha conosciuto inaspettatamente un giornalista in cerca di una storia avvincente da raccontare nel suo prossimo libro. Tra misteri, ipocrisie e menzogne i due protagonisti tentano una volta per tutte di ricostruire le vicende di un passato che tutti sembrano voler nascondere, decisi a rintracciare finalmente il figlio di Philomena, ormai adulto.
Già un altro regista inglese, Peter Mullan, alcuni anni fa aveva denunciato nel suo crudo e riuscito Magdalene i soprusi e le violenze subite dalle ragazze madri rinchiuse nei conventi irlandesi degli anni Sessanta. Il connazionale Stephen Frears fa iniziare il suo racconto in un contesto analogo, appunto quello della cattolica e rigida Irlanda degli anni Cinquanta, di cui descrive senza sconti le contraddizioni e i pregiudizi con tutte le rovinose conseguenze che questi comportano.
Philomena è insieme un film di denuncia – lucido, esatto e rigoroso – e una commedia vivace e arguta, capace di divertire e commuovere, grazie soprattutto alla brillante e coinvolgente interpretazione di Judy Dench, nel ruolo della protagonista. E’ anche la storia di un’amicizia insolita che nasce dal confronto di due persone quanto mai distanti nel modo di agire e di pensare: da una parte Philomena, una donna semplice, calma e decisa, che nonostante tutto non ha perso la fede e non disprezza la Chiesa; dall’altra il giornalista Martin – prima reticente, poi solidale infine empatico con la sua compagna di avventure – che con la sua comprensibile indignazione proverà a suo modo a scuotere le certezze incrollabili della donna.
Frears miscela con equilibrio e sapienza passaggi venati di afflizione e tristezza con sequenze ricche di dialoghi frizzanti e umoristici, mostrando cura e attenzione nei dettagli e nell’ambientazione; anche l’impianto narrativo – che nell’alternare passato e presente si serve di espedienti semplici e collaudati quanto efficaci – si rivela solido e funzionale. Il risultato è un film armonioso, un esempio di cinema che riesce ad affrontare tematiche estremamente serie – descritte in tutta la loro pregnanza – senza tuttavia perdere scioltezza e agilità. La grande abilità del regista è infatti proprio questa, saper raccontare con levità e leggerezza un vero e proprio dramma senza tuttavia stemperarne minimamente la tragicità.
Non ci sono edulcorazioni infatti nella messa in scena dei terribili eventi del passato di Philomena (valga per tutti la scena del parto) né nella descrizione delle crudeli e ciniche religiose che le hanno portato via il figlio; tuttavia è proprio il suo personaggio, con la sua totale – quasi incomprensibile – rinuncia all’odio e al rancore che permette al film di approdare in un territorio meno cupo e tempestoso in cui c’è (molto) spazio anche per l’ironia.